Avere vent’anni: FREEDOM CALL – Crystal Empire

Prima di scrivere queste righe sono andato a rileggermi la mia recensione di Stairway to Fairyland e credo di aver detto grossomodo tutto quello che si poteva dire sull’essenza dei Freedom Call. Rimango sempre uno stupido imbecille che si scaccola ai semafori, ma qualche volta ci prendo pure io. A questo punto mi direte che non c’è più motivo di dilungarsi su Crystal Empire, dato che è identico al primo album, ma invece qualcosina da dire c’è. Da un punto di vista compositivo ci sbrighiamo subito: Crystal Empire è migliore del suo predecessore sotto ogni aspetto, data la produzione stavolta perfetta, la sicurezza di Chris Bay nel comporre e suonare un genere che trova finalmente compiutezza e la qualità dei pezzi, tutti spettacolari quasi al punto da farti mettere a piangere nella loro unione tra gaia spensieratezza e malinconica epicità, che lo so che sembra un paradosso ma è proprio per questo che c’è voluto un disco interlocutorio come Stairway to Fairyland per arrivare finalmente al punto.
Quello che c’è da dire, in realtà, è come i Freedom Call rappresentino il punto d’arrivo del power metal tedesco degli anni Novanta. La parabola che inizia con I’m Alive degli Helloween nel 1987 si conclude con i Freedom Call, che ne spingono al limite ogni caratteristica, a volte quasi parodisticamente, e che impediscono ogni evoluzione futura. Non è un caso che negli anni Novanta la Germania fosse la patria del power metal d’estrazione europea e che negli anni Duemila il suddetto genere da un lato sia imploso e dall’altro abbia smesso di avere un centro. Dopo Farewell non c’è stato più spazio per ulteriori manovre: tutto era stato già detto in tutti i modi possibili, seri o semiseri.
È tutto qui. Ciao ciao power metal, è stato bello, bellissimo, spettacolare, ma grazie, abbiamo già tutto. Crystal Empire è del 2001 ma appartiene agli anni Novanta di diritto, e riascoltarlo adesso non può fare altro che riportarti a quel periodo. Non vale neanche l’opposizione che i Freedom Call sarebbero stati, con la loro gaiezza, progenitori di quella tendenza ridanciana che ha preso piede nel power degli ultimi quindici anni, perché non è così. Come già detto qui, quelle tendenze derivano dai Dragonforce e solo da loro, i quali non hanno alcun punto di contatto con la band di Chris Bay; e questo perché questi ultimi si prendevano comunque sul serio, a differenza dei Dragonforce (o degli Alestorm, o di chi volete voi) che sono un gruppo di cazzeggio anche quando fanno finta di essere seri. I Dragonforce non erano altro che una specie di revival fatto dall’esterno, peraltro neanche troppo rispettoso; festeggiavano sul cadavere putrescente del power metal con l’atteggiamento irridente di chi alla fine, staccati gli amplificatori, di quella roba gl’importava il giusto. Sinceramente, i Dragonforce a stento possono essere chiamati metallari nel senso che a questa parola si dava tanti anni fa. I Freedom Call, dal canto loro, seppure possano benissimo non piacere per mille motivi, si ponevano come eredi di una tradizione ben radicata di gente serissima anche quando cazzeggiava. Il senso di straniamento di cui parlavo nella succitata recensione del debutto è stato poi, anni dopo, accompagnato dalla sensazione di assistere alla fine di un’epoca, all’inevitabile pietra tombale di un genere musicale che, come ogni manifestazione umana, nasce cresce declina e muore. Chris Bay ha officiato il funerale del power metal, ed è stato un funerale grandioso: il miglior complimento che io possa fare a questa a suo modo grandissima banda è di aver sepolto il power metal con una cerimonia degna della sua storia. I Freedom Call hanno continuato ad andare avanti, peraltro con album quasi sempre molto pregevoli, ma il senso della loro esistenza era già chiarissimo con Crystal Empire, probabilmente il loro vero capolavoro.
Detto ciò, una postilla: la rubrica Avere vent’anni fu ideata una sera di ormai sette anni fa a casa mia e di Ciccio insieme a Charles, e uno dei motivi per cui l’abbiamo fatta partire era che così avremmo potuto parlare di tutti i nostri guilty pleasure del power metal anni Novanta. Il power metal finisce quel giorno di febbraio del 2001 in cui i Freedom Call diedero alle stampe Crystal Empire, con le sue Freedom Call, Rise Up, Call of Fame, con i suoi birignao e la sua epica strappacore tra trombette e marcette. Grandi album sarebbero ancora stati scritti (uno per tutti: Hellfire Club degli Edguy), ma sempre giocoforza guardando all’indietro, e mai avanti. Ancora non penso, come i miei suddetti sodali, che la rubrica debba a questo punto concludersi, ma di certo, simbolicamente, da oggi perde uno degli ultimi suoi pilastri esistenziali. (barg)
Caro Barg qui si sente odore di gioventù, concerti con 30 gradi ( centigradi non di separazione), birre, canne e se ti trovavi fuori terronia anche sesso.
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Quanto l’ho amato quest’album. Penso di averlo ascoltato almeno 1000 volte, è stato vero amore.
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Quanto l’ho amato quest’album. Credo di averlo ascoltato almeno 1000 volte. Amore vero.
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Ah, ma allora non sono il solo a vedere in Hellfire Club un rarissimo esemplare di bello e compiuto disco di power metal uscito dopo il 2000.
Un paio di filler, ma le prime due tracce, sticazzi, valevano i 15 euri.
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A questo punto dovreste cominciare la rubrica “avere quarant’anni”.
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