Avere vent’anni: ANATHEMA – A Fine Day to Exit

L’Azzeccagarbugli: Non so più quanti album degli Anathema siano stati definiti “della svolta”, “di transizione”, o, ancora, “di rottura” rispetto al passato. Definizioni che, a ben vedere, potrebbero ben attagliarsi a tutti i dischi successivi a The Silent Enigma – e se vogliamo anche a quello stesso album, così diverso da Serenades – e che sarebbero allo stesso tempo del tutto fuori strada. Il percorso artistico degli ormai compianti Anathema è sempre stato di una coerenza e di una continuità invidiabile e, nonostante un disco come A Fine Day To Exit musicalmente sia distante anni luce da un Eternity, l’approccio, l’attitudine e alcune tematiche trattate sono sempre le stesse. Per questo non ho mai considerato A Fine Day To Exit come l’album della svolta indie, perché le sue basi hanno radici ben radicate nei suoi predecessori e, se è indubbio che l’influenza di band “alternative” – qualcuno ha detto Radiohead? – sia indiscutibile in alcuni pezzi, così come gli echi pinkfloydiani di Judgment, il tutto viene filtrato attraverso la personalità degli Anathema e il risultato sono brani straordinari come Release e Pressure.
Un disco incredibilmente doloroso sin dai suoi momenti iniziali (Mouth tastes of sick, stomach twist inside / Everything’s wrong and I can’t get away) e che lascia nell’ascoltatore un senso di crescente pressione che nel corso dell’album diventa quasi insostenibile, come in Underworld (I’ve got to burn this wait out of my mind /Running through my veins until I disappear), trovando uno sfogo, reale o ideale, solo nella via di fuga definitiva di Panic (Razor blades floating in the warm bath/ Air bubbles in your veins turning my hands black/ Whispers coming from the next room).
Un album discontinuo, che nella seconda parte non riesce sempre a tenere alta l’attenzione con brani che forse avrebbero necessitato di un approccio più semplice, ma che è sempre stato ingiustamente bistrattato pur avendo il solo difetto di essere schiacciato tra due giganti quali Judgement e A Natural Disaster. E del resto si tratta sempre di un disco che si chiude con Temporary Peace, uno dei brani migliori degli inglesi, che sarebbe capace da solo di nobilitare album molto meno riusciti di A Fine Day To Exit.
Edoardo Giardina: Ho sempre avuto l’impressione che A Fine Day to Exit fosse, se non addirittura il capitolo della discografia degli Anathema più sottovalutato, quantomeno il capitolo più ignorato. Forse è passato in sordina perché arrivato dopo una serie di album dalla portata immensa (The Silent Enigma, Eternity, Alternative 4 e Judgement): quello era il periodo in cui i Cavanagh non sbagliavano neanche un colpo pur continuando a cambiare genere e riuscendo tuttavia a dare ad ogni album una cifra stilistica ben precisa e distinguibile.
D’altronde, quante volte avete sentito qualcuno dire che A Fine Day to Exit è il suo album preferito degli Anathema? Io mai nessuno. Io stesso non definirei questo disco il mio preferito e mi ero quasi scordato della sua esistenza fino all’occasione di questa rubrica (sono passati anche per me i tempi in cui ascoltavo il gruppo di Liverpool compulsivamente e a profusione almeno una volta a settimana) – per inciso, se fossi costretto a decidere, direi che The Silent Enigma è il non plus ultra della loro carriera. Gli Anathema del 2001, pur passando a coordinate tutto sommato più ariose rispetto al passato, avevano ancora il loro tocco magico che gli permetteva di pubblicare in continuazione opere a cui fosse praticamente impossibile trovare una nota fuori posto. Tracce come Underworld e Pressure stanno lì a dimostrarlo, così come la scorrevolezza e l’equilibrio dell’album preso nel suo insieme.
Ecco, sebbene ogni volta che riprendiamo un album degli Anathema in mano ci sembra di ritrovarci avvisaglie di quello che verrà, a me sembra chiaro che A Fine Day to Exit sia il vero album con cui gli inglesi piantarono i semi della fase finale della loro carriera, ora arrivata in una fase di stallo. Non prima. I suoni delle chitarre, gli accenni di elettronica, le atmosfere più dilatate e sognanti: tutte caratteristiche che denoteranno gli ultimi album degni di nota che hanno pubblicato e che nelle pubblicazioni precedenti il 2001 erano pressoché assenti. Non solo: forse questo fu anche il momento in cui il suddetto tocco magico smise di funzionare. Per quanto belli, apprezzabili e apprezzati, gli album successivi non saranno più così perfetti.
Sarò forse l’unico, ma a me la parte finale della carriera degli Anathema proprio non piace. A partire da questo album (che per me fu una enorme delusione) smisero di piacermi in modo irrimediabile, nonostante abbia poi acquistato anche il successore niente da fare. Il gruppo che amavo era definitivamente sparito.
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Il penultimo album ancora degno di essere ascoltato, dopo “A natural disaster” il nulla. Anche dal vivo si è visto il cambiamento nel pubblico: i metallari hanno lasciato il posto agli hipster nelle ultime apparizioni dal vivo…che tristezza…
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Bel disco. Quello dopo ancora meglio. Poi sempre peggio…
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Disco effettivamente sottovalutato.
Il successore capolavoro.
Fatico a capire perché venga bocciato ciò che c’è stato dopo.
Magari il livello non era più lo stesso, ma erano album più che degni.
Weather System è bello quasi quanto A Natural Disaster.
L’ultimo è una ciofeca, quello si.
Infatti poi si sono sciolti
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