Un ultimo saluto: ERIC WAGNER – In the Lonely Light of Mourning

La scomparsa di Dark Mark ha fatto male e mi ha dato da pensare. O meglio, una sensazione di pancia: se ne sta andando, ed anticipatamente, forse l’ultima generazione che è stata in grado di scrivere certe pagine. Grandi pagine, fondamentali. Non so come spiegarmi meglio, ma di gente che sarà in grado di essere così significativa e generazionale non credo ne vedremo tanta ancora. È come se stessero cadendo dei pezzi di intonaco, dopo aver osservato le crepe sull’affresco per lungo tempo senza poterci fare nulla. La scomparsa di Eric Wagner, che ha anticipato di qualche mese quella di Lanegan, è un’altra di quelle lacune che non si potranno facilmente colmare. E ricomporre il mosaico originale. Se n’è andato per quello schifo di morbo nero che tutti sappiamo. Tempi bui, se mai di luce ce n’è stata, non so.
In the Lonely Light of Mourning è il disco cui stava lavorando, come uscita solista, e immagino avesse terminato, visto quanto è compiuto quello che possiamo ascoltare ora. Il titolo dice praticamente tutto. Ma, più che un disco in solitaria, suona come l’ultimo incontro, l’ultima serata tra vecchi compagni. E praticamente lo è.
Disco solista, ma circondato dai vecchi amici, tutti del giro Trouble, The Skull, Pentagram. Disco di fattura classica. Wagner lo canta con intensità, dimesso, ma fortemente presente. Non so come fossero le sue condizioni durante la scrittura e registrazione, ma di certo non possono non fare impressione le liriche ed il trasporto del brano che dà il titolo al disco. Come se scrivesse già del suo funerale. Non sembra un classico espediente retorico, ma qualcosa di più personale, consapevole.
Lying here upon my pillow / at the end of my daze / here beneath my window / I can hear them pray…
Così come If You Lost It All, per violoncello e batteria. Canzone mesta e a cuore aperto. Ma In the Lonely Light of Mourning è anche un disco di roccia, il ruggito di vecchi leoni ancora fieri. Isolation, Maybe Tomorrow, Rest In Place sono brani tosti. Hanno riff duri, classici, perfetti. Il doom americano, l’heavy americano, quelli veri, originari. Quel mosaico di band e musicisti che sta svanendo crepa dopo crepa. Nel finale, ancora, Eric canta serenamente queste parole:
If you are in heaven… Or in hell / Either ways I wish you well
Beh, ovunque egli sia, ora, siamo noi ad augurargli di aver abbandonato sofferenza e lacrime. Farewell, Eric, e grazie ancora per quest’ultimo splendido disco. (Lorenzo Centini)