Dieci dischi per gli anni Dieci: Gabriele Traversa

COLLE DER FOMENTO – Adversus (2018)
Un tale entra in un bar. Si prende un caffè lungo corretto con rum e sambuca. Dopo averne bevuto uno, ne ordina subito un secondo, poi un terzo, poi un quarto, poi, nello sgomento generale, si tira da solo un pugno al basso ventre, corre in bagno e vomita. Mentre rialza la testa dal cesso si specchia nell’unto vetro dello specchio appena sopra il lavabo. Il suo sguardo è triste e malinconico, ma non sa perché. Mentre si guarda, ripensa a tutta la sua vita passata; gli sbagli che ha commesso, le occasioni perse, gli amici che non ci sono più. Rimane così, immobile, a fissarsi e a pensare, fino all’orario di chiusura del bar. Poi esce, e si perde tra la folla.
FINNTROLL – Blodsvept (2013)
Un tale entra in un bar. Ordina una birra, ma servita in un corno vichingo lungo come la nerchia di Rocco Siffredi. Mentre beve, dal magazzino in fondo alle scale spunta un capellone a petto nudo con una maschera da cinghiale e una fisarmonica in braccio, e comincia a suonare. Il barista sorride; si toglie il grembiule, lo fa roteare, lo getta in aria, rutta, scureggia, tira fuori una ghironda da sotto il bancone, salta sul bancone e, suonando come un matto, si mette a giocare a campana tra i boccali di birra degli avventori lì riuniti. Dopo cinque minuti nel bar entra un troll alto tre metri, con la panza e i bicipiti della stessa circonferenza delle ruote di una jeep: prende gli avventori uno ad uno e, così, per diletto, li lancia contro le mura del locale, spiaccicandoli. Il tale che era entrato nel bar muore spiaccicato, esattamente come tutti gli altri.
CARCASS – Surgical Steel (2013)
Un tale entra in un bar. Il tale è ricoperto di sangue e stringe in pugno una mannaia da macellaio. Si dirige verso il barista. Il barista, tremando spaventato, gli vuota il registratore di cassa davanti agli occhi. Il tale prende una manciata di banconote, le guarda, le annusa, ci sputa sopra e le comincia a fare a pezzi con la mannaia. Il barista scappa dal retro, in strada. Il tale lo insegue, gli salta addosso, lo atterra e lo sgozza. Il sangue esce copioso. Un schizzo va in faccia ad una bambina che sta tornando da scuola, tutta felice, con la sua cartellina. La bambina caccia un urlo. Il tale prende la bambina, la narcotizza, se la porta a casa, la smembra, e inizia a scrivere un dettagliato dossier su ogni singola parte del suo corpicino.
PANOPTICON – Autumn Eternal (2015)
Un tale entra in un bar. Pensa di essere entrato in un bar qualsiasi e invece si ritrova in un desolato e sonnolento saloon dell’alto Kentucky. Spaesato, fa per uscire; ma fuori non c’è più una comunissima strada di città, bensì un’infinita distesa di brulle colline, a perdita d’occhio. Non capendoci più un cazzo e credendo di trovarsi in un sogno, chiede informazioni ad un vecchio con un cappello di paglia che sta accordando il banjo seduto su una pietra lì di fianco. Il tale chiede spiegazioni. Il vecchio borbotta di non disturbarlo mentre sta accordando il suo banjo, ma, se volesse chiamare a casa (o le guardie), c’è una cabina del telefono dopo quelle colline brulle e accidentate lì in fondo. Il tale si incammina, ma arrivato a metà della prima collina si accorge che già non ce la fa più; si butta a terra, in ginocchio, e, in preda allo sconforto più nero, urla talmente forte che provoca un terremoto che distrugge il saloon e fa venire un infarto al vecchio burbero.
BURZUM – The Ways of Yore (2014)
Un tale entra in un bar. Chiede al barista, che siede di spalle al bancone, se può avere dell’acqua minerale (possibilmente di qualche sorgente lì vicino). Il barista non risponde. Il tale fa di nuovo la sua richiesta, ma niente. Dopo due minuti di silenzio assoluto, il tale strattona la spalla del barista e quest’ultimo cade dalla sedia con un tonfo. Il barista è un vecchio dai folti capelli bianchi e la barba di Mago Merlino, ma soprattutto è morto stecchito da non si sa quanti giorni. Il tale è scioccato. Sta per fare il numero dei carabinieri quando, dal corpo del vecchio barista stecchito, fuoriesce lo spirito di un pittoresco cerbiatto femmina, che si avvicina al tale, lo guarda negli occhi e poi scappa fuori dal bar. Bar che, non si sa bene come, adesso non è più un bar ma una grotta angusta, buia, col muschio alle pareti e piena di fetore.
ALESTORM – Back through Time (2011)
Un tale entra in un bar. Il tale è già completamente ubriaco, si siede al bancone e non ordina niente (perché dalla sua bocca invece del nome di qualcosa esce un rutto cavernoso). Il barista lo guarda, sorride, afferra il tale per il bavero e gli vuota un’intera bottiglia di rum giù per il gargarozzo. Il bar è pieno di procaci donnine in abiti succinti e vecchi panzoni con la cataratta, la gamba di legno e il pappagallo sulla spalla. Ma ci sono anche scheletri col cappello da marinaio e la sciabola, sbrilluccicanti forzieri aperti sui tavoli, cani puzzolenti, vomito e tanto chiasso. Chi non vorrebbe un baretto del genere sotto casa?
CHEMICAL BROTHERS – Further (2010)
Un tale entra in un bar. È il crepuscolo. Il bar si trova su una piattaforma trasparente super-resistente posta in mezzo a scuri grattacieli. La piattaforma, roteando, si alza e si abbassa mediante un braccio meccanico fino ad arrivare in cielo. Dentro al bar non c’è niente. È tutto spoglio, pulito, con le pareti bianche. L’unica cosa che si può fare è affacciarsi dagli oblò posti su queste pareti e godere dell’effetto della metropoli che, roteando, appare e scompare a seconda del moto della piattaforma. Dopo qualche minuto il tale ha perso coscienza di sé, e si aggira per il bar roteante camminando a quattro zampe, a scatti fulminei, pensando di essere una lucertola.
DIE ANTWOORD – Ten$ion (2012)
Un tale entra in un bar. Il bar è gestito da tossici. Il meno tossico (ma comunque un tossico) è uno sgherro pieno di tatuaggi che sta bevendo un cicchetto d’ amaro con la cocaina dentro al posto del ghiaccio. Il tale che è appena entrato si avvicina intimorito al bancone e chiede una Coca Cola. Il barista è una donna nuda, con tre denti (d’oro) in totale e il volto, una volta bello, provato dal ripetuto uso di sostanze stupefacenti e sfigurato dalle cicatrici di un passato/presente di violenza. La barista, con aria interrogativa, chiede al tale se vuole veramente una Coca Cola o la sta prendendo per il culo. Il tale conferma il suo ordine. Lei prende un mitra dal sotto bancone e, digrignando i suoi tre denti d’oro in una smorfia orrenda, fa fuoco sull’avventore, rendendolo un colabrodo.
ABORTED – The Necrotic Manifesto (2014)
Un tale entra in un bar. Il tale è amico del tale che era entrato con la mannaia e aveva ucciso brutalmente il barista e la bambina. Solo che questo invece della mannaia da macellaio possiede una motosega e un trapano… e una pistola… e una spada… e un fucile a pompa… e un’altra pistola… e un martello. Ha talmente tante cose in mano che non fa in tempo ad entrare nel bar che gli casca tutto per terra e, per sbaglio, si uccide, ma portandosi con sé all’altro mondo anche il barista (redivivo), la bambina di prima (rediviva anch’ella), due autisti di autobus, un pizzardone, il corriere della pizza e una prostituta.
FAUN – Von Den Elben (2013)
Un tale entra in un bar. Il bar è pieno di vegetazione che esce dal pavimento, da dietro il bancone, dagli stipiti delle porte; c’è dappertutto un buon profumo di fiori e le cameriere sono delle fate che svolazzano, fanno le giravolte, si sfiorano, si baciano, si accarezzano, si vogliono bene. Al bancone servono solo succo di unicorno, una bevanda salubre dal colore roseo. Il tale ne prende un sorso e, improvvisamente, ha voglia anche lui di ballare con le fate. Il barista (un magro mago simile a un elfo) gli porge un flauto. Il tale lo prende e comincia a suonare e a saltellare, e così per sempre, fino al giorno della sua morte. Alla moglie aveva detto che usciva cinque minuti, ma che importanza ha, adesso? (Gabriele Traversa)