Forgotten Days, il disco moscio dei PALLBEARER

Sarò molto breve sul nuovo album dei Pallbearer perché dopo una ventina di ascolti ancora non riesco a inquadrarlo. Lo trovo ancora più ostico del precedente Heartless, che quantomeno aveva in apertura un pezzo come I Saw the End; qui invece non riesco a capire dove vogliano andare a parare, nonostante le sensazioni non siano affatto negative. Non c’è alcuna traccia che mi faccia venire voglia di skippare in avanti, e di contro l’intero album cresce con gli ascolti. Non so se arriverò al punto in cui potrò dire che Forgotten Days mi piace da morire, ma, anche in quel caso, non ho idea di quanti altri ascolti dovrei concedergli per giungere a tanto.

pallbearer forgotten days cover painting

Forgotten Days fa un passo indietro rispetto al precedente Heartless per quanto riguarda quelle tendenze progressive che sembravano prendere sempre più piede. In questo ricorda Dropout, il pezzo che era uscito un paio d’anni addietro, e fa tirare un sospiro di sollievo, perché quello che funzionava a dosi più o meno piccole in Heartless avrebbe potuto, a lungo andare, rovinare la formula classica dei Pallbearer. Per il resto non è cambiato molto: la distorsione è sempre quella di Sorrow and Extinction, i riff seguono grossomodo quegli stessi criteri e Brett Campbell non ha cambiato di una virgola il modo di cantare. Rispetto ai primi due album, però, Forgotten Days è però più moscio, in tutte le accezioni – sia neutre che negative – che si possano dare a questo termine. C’è meno impatto e più riflessione, anche se in un senso diverso rispetto ad Heartless, probabilmente anche per il meno spazio dato alle derive prog. E, se all’inizio il disco mi annoiava, a forza di insistere adesso posso quasi dire che mi piace.

I pezzi migliori sono la prima Forgotten Days, la centrale Silver Wings (soprattutto) e le ultime due Rite of Passage e Caledonia. Quest’ultima in realtà è difficilmente decifrabile: contiene in sé tutte le anime dei Pallbearer, evocative parti acustiche e sbrodolamento psichedelico, riff rallentatissimo e coro epico in conclusione. Di solito questi elementi contraddistinguono canzoni diverse, ma qui sono fuse in modo abbastanza omogeneo in un climax che, posto in chiusura di album, ti dà la giusta spinta a voler rimettere tutto daccapo. Il secondo singolo scelto invece, The Quicksand of Existing, punta molto sul tiro ma mi sembra un po’, come dire, stupidino. Detto questo, il mio giudizio è sospeso: non ho idea di cosa potrò pensare di Forgotten Days tra un paio di mesi, anche perché a stento so cosa pensare adesso. (barg)

3 commenti

  • Stavano per suonare al Brutal Assault un paio di anni fa. Io non li avevo mai visti dal vivo. Un australiano, montagna di due metri, capellone, macho, mi dice “bene, te lo faranno venire duro”.
    Dopo un po’ che il concerto era iniziato, apro gli occhi e mi giro verso l’australiano che col sorriso lascivo mimava col braccio la sua erezione.
    La gente non sa cosa si perde a non essere metallari.

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  • Delle nuove leve Doom i Pallbearer son quelli su cui avrei puntato parecchio. Seplicemente perché ho molto apprezzato i primi due lavori, il terzo mi era già diventato indigesto (troppo in tutti i sensi) e questo non l’ho perso dopo aver ascoltato i primi estratti. Forse sbaglio ma nel campo, ora come ora, io punto tutto su Monolord e Scorched Oak.

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  • I primi due dischi me li avevano fatti inserire nelle “speranze” del Doom metal, ma il terzo era palloso da morire, questo non mi ispira un granché. Personalmente adesso sono più per Monolord (Hail!) e Scorched Oak.

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