Avere vent’anni: VIRGIN STEELE – The House of Atreus: act II

Invictus fu il loro capolavoro assoluto. The House of Atreus act I ebbe l’intuizione meravigliosa di riproporre quei medesimi stilemi al servizio di un’opera che gli si addiceva perfettamente come l’Orestea. The House of Atreus act II non si discosta dallo stile della prima parte, continuando la narrazione senza cambiare nulla, com’era giusto che fosse. Ed è un doppio album, il che porta il totale del concept a tre dischi.

L’apertura Wings of Vengeance è il pezzo più semplice e allegrotto dei 45 che compongono il concept, intermezzi compresi. È una specie di promessa ingannevole, perché la seconda parte di House of Atreus è decisamente più cervellotica della prima, quantomeno da un punto di vista concettuale. Anche in questo è coerente col testo greco, che comincia descrivendo una società primitiva e basata sul sangue e termina con la concretizzazione della raffinata idea moderna di giustizia introducendo il tribunale dell’Aeropago, colonna portante di quella Grecia che usciva dalle tenebre del tardo medioevo ellenico poggiando le fondamenta della civiltà occidentale. La fondazione del tribunale permette di risolvere le controversie in modo civile, mettendo fine all’orgia di sangue come strumento legittimo di giustizia privata. È per questo che in questa seconda parte manca un pezzo furioso e ossessivo come Great Sword of Flame.

Nonostante le due parti del concept dividano esattamente a metà la trilogia eschilea, House of Atreus act II copre una porzione ridotta della trama dell’Orestea. In pratica quasi tutti gli avvenimenti accadevano nella prima parte: il ritorno di Agamennone e Cassandra ad Argo, il complotto di Clitennestra ed Egisto, l’omicidio dei secondi a danno dei primi, la preghiera di Elettra affinché Oreste torni a compiere vendetta, tutto in un unico disco. Qui invece abbiamo meno avvenimenti diluiti in due dischi, che quindi concettualmente, dopo l’omicidio dei regicida per mano di Oreste, si soffermano sulla ricerca introspettiva dei personaggi e sui dialoghi tra Oreste, le Erinni, Apollo e Atena. Questo significa una maggiore presenza di intermezzi e di parti riflessive, per meglio introdurre temi alti e non più legati semplicemente al desiderio primordiale di vendetta. Di contro, però, i pezzi sono sempre abbastanza semplici. uno dei pregi più grandi dell’intero concept è infatti quello di non sbrodolarsi mai addosso, pur mantenendo il tono sempre su livelli elevatissimi. L’intero concept di The House of Atreus è composto di pezzi heavy metal diretti, classici, senza solipsismi stilistici o menate da gente con gli occhiali: quanti altri gruppi sarebbero riusciti a centrare entrambi questi obiettivi?

Purtroppo il secondo atto di House of Atreus act II, pur essendo splendido, non è al livello del primo. Il motivo è molto banale: due dischi sono complicati da riempire, le idee sono diluite e l’attenzione non rimane sempre altissima. Stilisticamente vale tutto quanto detto per il primo atto: l’epica della mitologia e del primitivo viene resa con il minimalismo, la secchezza del suono, la riduzione all’indispensabile di ogni eventuale orpello, come già fu anche nel sovrumano Invictus. Rimane comunque un disco splendido, pieno di pezzi splendidi, sì valorizzati dall’aderenza al concept e da tutto ciò su cui mi sono dilungato prima, ma che avrebbero funzionato anche se avessero trattato di tutt’altro. Summoning the Powers sarebbe un mirabile esempio di epic metal infernale e claustrofobico anche se a parlare non fosse lo spirito malvagio e rigonfio di astio di Clitennestra. When the Legends Die sarebbe una ballata splendida anche se non fosse il lamento disperato di Oreste braccato dalle Erinni. E così via. Cose come The Wine of Violence, A Token of my Hatred o The Voice as Weapon non saranno mai più replicate dalla coppia DeFeis/Pursino. The House of Atreus act II è il canto del cigno dei Virgin Steele, l’ultimo glorioso scatto di orgoglio di una band che fu enorme negli anni Ottanta e che negli anni Novanta seppe reinventarsi in un modo personale ed originale. Ed è significativo che l’entrata simbolica nella civiltà venga rappresentata dal pezzo peggiore del disco, la conclusiva e inutilmente pomposa Resurrection Day, e preluda poi all’ultima fase della discografia dei Virgin Steele, che perdendo quella vena barbarica e magica perderanno anche la loro ispirazione, mettendo così fine a quel mirabile equilibrio che aveva loro permesso di trattare temi così alti senza mai scadere nel grottesco. (barg)

2 commenti

  • bella rece bargonaz. concordo su tutto, discone e canto del cigno della grande epopea dei VS

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  • Il difetto di questo album rispetto al predecessore secondo me sta nella produzione. Il primo capitolo aveva suoni grezzi e semplici, adatti sia allo stile brutale dei VS che al concept barbarico. Qui tutto suona di plastica, una canzone come The Voice as a Weapon è rovinata dai suoni finti e sintetizzati. Non sembra di ascoltare un seguito al primo album. I VS si sono sempre autocastrati con produzioni di serie B, De Feis avrebbe davvero avuto bisogno di qualcuno bravo in cabina di registrazione invece di voler fare tutto da solo.

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