Avere vent’anni: OPERA IX – The Black Opera
Quando uscì The Black Opera andavo ancora al liceo e la principale occupazione del sabato pomeriggio, terminata una lunga settimana di studio matto e disperatissimo, era prendere il treno per Roma e trascorrere il resto della giornata alla Discoteca Laziale di via Giolitti. Per chi abitava in provincia era come varcare le porte del Paradiso, con i suoi tre piani di cd, vinili, vhs a tema musicale e soprattutto per la sua abbagliante sfilza di postazioni dove ascoltare qualsiasi disco. Ovviamente le limitatissime disponibilità economiche non permettevano più di un acquisto ogni tre/quattro uscite.
Vent’anni dopo, le limitatissime disponibilità economiche sono rimaste invariate così come il nome della Discoteca Laziale, ma solo quello perché ormai se ne è andata pure la storica proprietaria che a noi già vent’anni fa sembrava vecchissima ed eterna. Degli Opera IX, invece, è rimasto il solo Ossian e le ultime novità riguardano i continui rinvii di un presunto concerto per celebrare i 25 anni di The Call of the Wood.
Al tempo dell’uscita di The Black Opera non li conoscevo e il primo impatto con l’album fu lo stesso che ebbi con i film di Jodorowsky: un’esperienza totale. Black metal? Gothic metal? Black sinfonico? Non lo so e francamente chi se ne frega perché The Black Opera ti prendeva e ti scaraventava di peso dentro una dimensione occulta e oscura fin dalle prime note, un po’come i cortometraggi di Kenneth Anger spogliati dell’estetica freakettona.
C’era un’atmosfera arcana, non lugubre come poteva suggerire il titolo, c’era la voce di Cadaveria e tastiere a profusione per sorreggere un’opera dalla struttura e dall’andamento quasi da disco prog, con brani tutti ampiamente sopra i sei minuti. E poi c’era il quinto atto, The Magic Temple, che sarebbe potuto tranquillamente finire nella track list di Neque Semper Arcum Tendit Rex di Antonius Rex e con quell’ “E ora giura” che sta agli adolescenti metallari italiani di quel periodo come T’appartengo sta a tutti gli altri.
Non so se The Black Opera sia stato il punto più alto della band di Biella – personalmente continuo a riascoltare sempre con molto piacere anche Maleventum e mi dispiace che abbiano accannato con grande rapidità la vena epic – di certo rappresenta la fine di un percorso con tutti i rimpianti e gli interrogativi che i successivi divorzi da Flegias e Cadaveria si portano dietro. (Matteo Ferri)
Discone! Lo scoprii ai tempi dell’università (a Torino, dove il loro nome era comunque noto perché almeno una persona su due li conosceva di persona) e lo trovai uno dei più dischi di – boh, black metal sinfonico satanico progressive? Ricordo solo che oltre a atmosfere tesissime e un suono grezzo e duro come serviva, ogni canzone era una progressione perfetta di almeno 3 o 4 idee diverse, che andavano a succedersi con esplosiva naturalezza. E tutte le tracce formavano un perfetto rituale magico occulto che commuoveva per la sua compiutezza. Magnifici, indimenticati.
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Ho una TDK registrata con i piedi da qualche parte che non mi ha mai convinto, riascoltandoli in digitale continuano a non convincermi, ma non vuol dire niente. La signora della Discoteca Laziale mi ha sempre affascinato, l’ ultima volta che l’ho vista aveva un vestito rosso fuoco, i capelli grigissimi e una collana di perle grosse come noci di cocco mi ha sempre dato l’ idea di una meravigliosa nonnina.
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