Avere vent’anni: aprile 1999
HYPOCRITE – In The Halls of the Blind
Michele Romani: Gli Hypocrite sono una dei tanti gruppi della gloriosa scuola melodic death metal svedese ingiustamente dimenticati, autrice di due ottimi full (“Edge of Existence” e questo nonché ultimo “in The Halls of The Blind”) nella seconda metà degli anni ’90. Il sound è quello tipico made in No Fashion Records, label che a quei tempi in Svezia dettava a dir poco legge, un death metal con qualche leggera puntina di black sempre molto orientato alla melodia, sulla scia di gruppi come Sacrilege, Gates of Ishtar, A Canorous Quintet, Ablaze My Sorrow e via dicendo. “In The Halls of The Blind” conferma quanto di buono la band aveva fatto sentire col full precedente, anche se a mio parere il songwriting risulta leggermente meno ispirato, anche se sempre abbondantemente al di sopra della media. Sicuramente il gran proliferare di bands che all’epoca si cimentavano nelle stesse sonorità non li ha aiutati, compreso anche il nome veramente troppo simile ad indovinate chi, ma per il resto la proposta è validissima e consiglio vivamente di recuperarli.
DARK SANCTUARY – Royaume Mélancolique
Gabriele Traversa: Uno dei miei gruppi preferiti in assoluto sono gli Autumn Tears, misconosciuto combo proveniente da Billerica, Massachussets, dedito ad una dark ambient neoclassica di gran classe. Me li immagino sempre segregati in uno sgabuzzino polveroso, sul retro di qualche localaccio di camionisti, a farsi venire le vesciche sui tasti del sintetizzatore mentre gli amici loro fanno i rutti guardando il Super Bowl o giocando a biliardo… che ficata. Ecco, i Dark Sanctuary sono i cugini parigini degli Autumn Tears. Però parigini, attenzione, quindi un po’ di differenza c’è; diciamo che “se la tirano” un po’ di più, va. L’atmosfera gotica ed eterea, tipica di questo genere musicale, qui è ancora più prepotente; tant’è che dopo non più di tre brani vi sembrerà di entrare in una cattedrale sospesa tra le nuvole. Royaume Mélancolique (primo album dei francesi) è un disco lentissimo, funereo, da ascoltare mentre si cammina di notte lungo la Senna, occultando tra le pieghe della giacca a vento un piccolo gargoyle di marmo macchiato di sangue. Di chi è quel sangue? A chi apparteneva quel piccolo gargoyle di marmo? Ma è più inquinato il Tevere o la Senna? Paura, eh?
ABORYM – Kali Yuga Bizarre
Marco Belardi: Quando uscì quest’album lo presi all’istante, e notai alcune cose che ad oggi mi viene di riconfermare. Una sola l’ho potuta individuare a distanza di tempo, e cioè che Kali Yuga Bizarre i suoi anni li dimostra proprio tutti. In compenso, i punti fermi sono rimasti pressoché tali: Yorga era un cantante della madonna, uno di quegli interpreti che una volta tolti di mezzo lasceranno un certo vuoto dietro di sé. E Attila allora? L’ungherese è una testa di serie, non c’è dubbio, ma per l’album di debutto degli Aborym, il venerabile Yorga – se ben ricordo come si faceva chiamare in quegli anni – risultò un elemento di vitale importanza. Poi c’era l’alternanza fra un black metal tastieristico di buona fattura e questa elettronica totale: sinceramente avrei preferito l’esistenza di due progetti messi in parallelo, e la coesistenza di un binomio del genere all’interno dello stesso album, o meglio ancora band, non me la fece prendere benissimo. Tuttavia la cover dei Coil era davvero bella. Il meglio però arrivava dal versante metallico, con Wehrmacht Kali Ma e soprattutto Roma Divina Urbs sugli scudi, seguite dal recupero dell’ottima Metal Striken Terror Action direttamente dalle vecchie demo. Per quello che mi riguarda, migliore album per distacco di un gruppo che fu all’apice in partenza, e che successivamente ha subito la discontinuità dovuta al collasso di tante, troppe line-up: particolarmente interessanti almeno fino all’uscita di Generator, cecchini infallibili solo in quest’occasione.
NACHTFALKE – s/t
Michele Romani: I Nachtfalke sono la creatura di Occulta Mors, unico membro effettivo di questo progetto e noto soprattutto per aver fatto parte dei Moonblood, storica black metal band tedesca nota soprattutto per la miriade di demo prodotti ed un LP limitato a 100 copie (“Taste of German Steel”) oggetto da sempre del desiderio dei collezionisti più incalliti. Questo ep si compone di due pezzi ed un outro strumentale che comunque verranno riproposti nel full “Hail Victory Teutonia”, e rispetto ai Moonblood si nota subito la componente pagan/viking molto più accentuata, che crescerà esponenzialmente con le ultime produzioni del combo tedesco. L’influenza dei Bathory è nettissima in certi punti rasenta quasi il plagio, d’altra parte lo stesso Occulta Mors ha più volte evidenziato la sua vera e propria fissazione per Quorthon omaggiandolo con una o addirittura più cover all’interno di uno stesso disco. Per il resto non molto altro da aggiungere considerata anche la durata piuttosto esigua del prodotto.
DEEDS OF FLESH – Path of the Weakening
Ciccio Russo: Dopo due album ancora parecchio acerbi (il mediocre esordio Trading Pieces e il già più interessante Inbreeding the Anthropophagi), i Deeds of Flesh passano a una formazione a quattro, prendono un batterista un po’ meno ignorante e fanno il salto di qualità con questo Path of the Weakening, che li vede tirar fuori finalmente qualche idea interessante in un contesto che rimane comunque di totale devozione nei confronti dei mostri sacri del brutal death, Suffocation in primis. Il coefficiente tecnico migliora, il disco ha più dinamica e in pezzi come la title-track o Summarily Killed si iniziano a intravedere le avvisaglie di quello che i californiani sarebbero diventati negli anni duemila. Si tratta della prima release pubblicata dalla Unique Leader, l’etichetta del chitarrista e leader dei Deeds of Flesh, Erik Lindmark (morto lo scorso anno di sclerosi multipla), che sarebbe presto diventata la più importante del settore.
FANTOMAS – s/t
Charles: Il primo omonimo disco del gruppo-cazzeggio di Mike Patton e di altri soggettoni prelevati da Mr. Bungle e Melvins, nonché primo disco prodotto dalla Ipecac dello stesso Michele, è una vera merda. Tutta la devozione e il fanatismo con cui mi posso approcciare alle uscite di Mike non bastano a farmi rivalutare un disco che fondamentalmente è una cazzata. Lo era già allora, periodo in cui Patton mi aveva abituato ad ogni sorta di mediocrità in musica che mi ostinavo a comprare e cercare di farmi piacere. Lo è a maggior ragione oggi che ho perso del tutto la pazienza per le puttanate. Inclassificabile crogiolo di rumorini, BOOM-CICA-BOOM-CICA-BOOM, IA-IA-IA-IA-IA, CI-CI-CI-CI-CI, EH-OH-EH-OH, UO-UO-UO, TA-TA-TA-TA, lamenti e altri stupidi versi inconsulti del Nostro, che non dice una sola parola che abbia senso in tutti i suoi 40 minuti. Per qualcuno sarà una cosa geniale, per me una porcata senza appello.
L’album è senza titolo ma poiché la copertina rende omaggio al film di Hunebelle del ’65 (incomprensibilmente con titolo in spagnolo, quando quello originale era Fantômas se déchaîne) ancora oggi lo chiamano erroneamente Amenaza al Mundo. Non basta qualche riff carino di Buzz Osborne e qualche rullata familiare di Dave Lombardo a migliorare la situazione. L’opinione sul gruppo, che tutto a un tratto smette di essere un cazzeggio idiota, cambierà radicalmente a partire dal successivo The Director’s Cut, ultimo parto di Patton in ordine di tempo che possa realmente dirsi geniale.
LUCIFUGUM – On The Sortilege of Christianity
Michele Romani: La crescita della scena black metal ucraina nel corso degli anni è stata veramente incredibile, tra il finire degli anni 90 e i primi 2000 sono uscite fuori una marea di gruppi rendendola una delle realtà più consolidate del panorama europeo. Tra i vari nomi spiccarono nel 1999 questi Lucifugum con l’esordio “On The Sortilege of Christianity”, il primo di una discografia infinita tra split, Ep e album vari. La proposta sonora riflette fedelmente quelli che sono i canoni del black ucraino, ossia tempi iper veloci, vocals che sono una specie di miscuglio tra scream e growl e registrazioni che a confronto “Under a Funeral Moon” si sente bene, con quella cazzo di batteria modello fustino Dixan che è sempre stata una presenza immancabile. L’influenza dei Nokturnal Mortum di “Lunar Poetry” è molto evidente, con quelle tastiere onnipresenti che fanno sottofondo ad un black piuttosto cacofonico ma con degli spunti e dei riffs davvero molto interessanti. Non conosco molto il resto della loro discografia, ma se vi piace un certo tipo di black metal andate sul sicuro.
CHILDREN OF BODOM – Hatebreeder
Gabriele Traversa: Potrei scrivere di come il disco sia un connubio perfetto tra il power e un certo modo di fare black metal melodico, ma questo modo di recensire da grigio tecnocrate del Fondo Monetario Internazionale non mi si addice, quindi vi parlerò di Hatebreeder raccontandovi un aneddoto piccolo piccolo. Accompagno mio cugino a casa e, nello stereo della Ford Ka, ho da poco inserito la mia copia originale del full-length in questione. Appena il tempo di far scendere il caro parente dalla macchina che parte Silent Night Bodom Night, cioè, SILENT NIGHT, BODOM NIGHT. Una manciata di secondi e sono sul viadotto Gronchi (chi bazzica Roma Nord forse sa di cosa sto parlando) a velocità da Fast and Furious. Mi sento invincibile; la batteria è il mio motore, la chitarra il mio sterzo, la voce di Alexi “Wildchild of Bodom” il mio acceleratore. Poi, il semaforo rosso. Quel clima di totale esaltazione che aveva caratterizzato gli ultimi due minuti svanisce di botto: mi tocca frenare. Non ho proprio voglia di finire sul giornalino del III° Municipio sotto il titolo “Pluriomicidio colposo a via della Bufalotta”. Ma il vero delitto quella volta lo commise il semaforo diventando rosso. E se i semafori hanno un cuore, che mi abbiano sulla coscienza per tutta la vita.
Mai capito tutto l’hype che si creo intorno agli Aborym. All’epoca un tizio conosciuto all’uni mi obbligo praticamente a comprarlo ad un concerto. Eccetto Roma Divina Urbs non mi ha mai detto niente e tutta la pippa sull’elettronica che han sempre fatto, la ritengo fumo negli occhi. Su Hatebreeder dico che all’epoca mi piacque molto, mi e’ capitato di risentirlo qualche mese fa, ma, a parte 2-3 pezzi da paura, il resto non mi prende piu di tanto…
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Hipocrite mai sentiti, interessante.
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Hypocrite da riscoprire… questo leggermente meno bello del precedente, ma se lo si riascolta adesso asfalta comunque quasi tutto il melodic death contemporeaneo. all’epoca lo presi sulla fiducia (ben riposta) di edge of existence.
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I semafori hanno un bidone dell’immondizia al posto del cuore.
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