La scena italiana: ENISUM – Moth’s Illusion

Queste poche parole sono dedicate a quei quattro stronzi con la puzzetta sotto il naso che ancora pensano la scena italiana valga meno delle altre.

Chi sono gli Enisum ce lo ha spiegato con dovizia di particolari il nostro inviato a Marrakesh in occasione della recensione del precedente e spettacolare Seasons of Desolation, quindi andatevi ad imparare a memoria quanto scritto da lui ai tempi. Su internet, inoltre, in mezzo alla solita marea di boiate e dissenterie verbali, ci sta anche qualche illuminato che spiega bene le cose, quindi rimando ad articoli come questo per completare il quadretto di insieme. Adesso che vi siete aggiornati su chi sono gli Enisum, posto che ce ne fosse bisogno, ribadiamo subito il succo di tutta la faccenda, cioè che non bisogna fare l’errore di sottovalutare i gruppi italiani semplicemente perché sono italiani. Anzi, il procedimento logico dovrebbe essere precisamente inverso: sono italiani E QUINDI già si parte col piede giusto e un passo avanti. Un po’ come si fa da sempre coi gruppi norvegesi, però adesso anche basta, facciamolo con i nostri. E non è per campanilismo, patriottismo, nazionalismo, che lo dico, ma per il semplice fatto che la scena italiana, LA SCENA ITALIANA, è viva, è florida, è potente ed è bellissima.

A sostegno di ciò, senza fare classifiche di gradimento (per quelle ci sono le nostre playlist di fine anno scritte sulla pietra che urlano la loro verità), in ambito black e affini mi vengono a mente Abysmal Grief, Shores of Null, Selvans, Scuorn, Progenie Terrestre Pura, Downfall of Nur e chiaramente dimentico qualcuno; se poi vogliamo parlare di doom/musica per drogati o delle sonorità più oscure rischiamo di non uscirne più o di trasformare questo post in un punto elenco.

Il punto, invece, è che ognuno di questi signori gruppi su citati ha dato una sua definizione personale al black metal, lasciandosi ispirare da influenze locali, nazionali o internazionali e creando una vera e propria via italiana al genere, cosa che già si era tentato di fare nei ’90 anche con risultati pregevolissimi, solo che al posto di una condivisa ed univoca, o quantomeno similare, traduzione del suono dal norvegese all’italiano, qui, oggi, si assiste al travalicamento dei confini di sottogenere verso una condivisa ed univoca aspirazione alla grandezza e – laddove questa è ancora di là da venire – alla qualità. Gli Enisum non fanno storia a sé, fanno genere a sé semmai, e sono ben inseriti in questo contesto di alto livello che, prendiamone atto, sta crescendo in modo uniforme e coerente come fosse un corpo unico. Riflettiamo anche sul fatto che ormai i tempi sono maturi per un Inferno Festival nostrano, o che so, un Roadburn nostrano. Qualcuno se ne è accorto, tentativi anche notevoli si stanno facendo e sono sicuro si faranno.

PS: E sul disco cosa volete che vi dica? Moth’s Illusion, se non sarà disco dell’anno, si piazza comunque da quelle parti lì. (Charles)

2 commenti

  • Avevo ascoltato Arpitanian Lands con molta curiosità perché sono delle mie parti. Però l’avevo trovato sì bello ed evocativo, ma anche di una banalità sconcertante – giri di accordi già sentiti, ritmiche scontate, ecc. Rappresentati perfettamente dalla scelta del loro nome: Musiné, al contrario, una scelta di una pigrizia creativa assoluta, la stessa che riscontro nella loro musica. Sono curioso di quest’ultimo, voglio vedere come sono maturati.

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    • Edoardo Giardina

      Secondo me il loro stile all’inizio era molto (a volte troppo) simile a quella di Wolves in the Throne Room e compagnia cascadica, ma la cosa buona è che continuano ad evolversi e sono sempre più originali. Questo per esempio a tratti mi ha ricordato i primissimi Katatonia.

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