TÝR – Battle Ballads

Chi ci conosce sa che a qualcuno di noi piacciono i Týr e li seguiamo da parecchio, io in particolare fin dal primo disco. Il gruppo faroese è attivo da più di vent’anni ed è passato attraverso vari cambiamenti di stile, come capita a molti artisti. Con i primi tre album How Far to Asgaard (2002), Eric the Red (2003) e Ragnarok (2006) si affermarono con un epic metal molto contaminato dal folk nordico e con una forte tendenza prog. Land (2008) proseguì su questa strada, ma rappresentò un momento più introspettivo e meditativo, molto originale e interessante, anche se non facile da assimilare. Decisamente più declinati verso il power furono By the Light of the Northern Star (2009) e The Lay of Thrym (2011). Ancora più power furono Valkyrja (2013) e Hel (2019), prodotti con un suono modernista e che segnarono un proseguimento verso uno stile più rifinito, ma anche meno spontaneo, per quanto in ogni album dei Týr si sia sempre trovato qualcosa di originale e personale, non fosse altro per la loro sconfinata passione verso le Fær Øer, con il loro patrimonio letterario e musicale.

Con questo Battle Ballads ci troviamo in una nuova fase dei Týr, ovvero quella che potremmo definire sinfonica. Una prima dimostrazione di questa tendenza l’abbiamo avuta con A Night at the Nordic House del 2022, un live registrato con l’orchestra sinfonica delle Fær Øer. Pare che questa esperienza sia piaciuta a Heri Joensen e ai suoi compagni, tanto da spingerli a continuare con l’aiuto dell’orchestra anche per l’album in studio. L’idea che avevano inizialmente era di registrare l’album insieme all’orchestra, tuttavia c’erano problemi di agenda per entrambi e così le parti orchestrali sono state aggiunte dopo l’incisione dei Týr, a cura del produttore Jacob Hansen (Volbeat, Amaranthe).

Come accaduto per altri album dei Týr, ci ho messo qualche giorno per capire se questo mi piacesse davvero o no. Di certo è un album di canzoni, di ballate come dice il titolo, ovvero di brani diretti e semplici nella struttura, ma non per questo immediati da comprendere. Sappiamo che i Týr sono bravi, sanno comporre, sanno prendere e colpire certe corde dell’ascoltatore. Tuttavia, pur continuando a rispettarli tantissimo, devo dire che di tutto il disco mi hanno veramente colpito due brani: il singolo Axes e l’ultima Causa Latronum Normannorum. Ci sono altri momenti interessanti da scoprire, come l’acustica Torkils Døtur, che è una versione lenta e malinconica di una danza popolare, così come Vælkomnir føroyingar è l’interpretazione energica e allegra di una poesia del politico e scrittore Jóannes Patursson.

Quello che si avverte è un’ispirazione genuina e sempre la stessa voglia di raccontare la propria terra, tanto da rendere Heri e compagni i migliori ambasciatori delle Fær Øer per il mondo. Si impegnano a pubblicare articoli e video sul paesaggio, le tradizioni, la lingua, ma qui, come negli ultimi album dei Týr, manca un maggiore lavoro sul lato compositivo. Non giova, a questo proposito, la scelta di aggiungere l’orchestra, che sposta ovviamente l’attenzione solo sull’estetica e la distoglie dal materiale musicale. Questa deriva potrebbe anche essere colpa della Metal Blade, ma ormai sono anni che la formula di ogni album è sempre la stessa e a me mancano tantissimo i loro vecchi riff, che ti facevano sentire il vento gelido, i fiordi innevati e il corno d’idromele. 

Cogliamo infine l’occasione di avvisare che la Napalm Records, etichetta che ha pubblicato i Týr da Ragnarok fino a The Lay of Thrym, farà uscire a brevissimo una raccolta intitolata The Best of the Napalm Years. Non ci saranno tutti i pezzi più significativi del passato, ma sarà comunque una buona rassegna del loro periodo migliore. 
Tornando per un ultimo istante a Battle Ballads, il titolo dell’ultima canzone, la già citata Causa Latronum Normannorum è tratta dal Liber de Mensura Orbis Terrae scritto nel 825 dal monaco Dícuil, che per primo visitò le isole Fær Øer. Di queste, raccontò che erano state abitate da alcuni irlandesi attorno al VIII secolo, i quali rimasero lì per circa un secolo, ma poi dovettero fuggire a causa delle continue invasioni di vichinghi. Il ritornello in latino della canzone cita liberamente un particolare passo del libro.

Ricordatevi comunque che il primo dizionario faroese – italiano l’ha pubblicato un mio concittadino, Gianfranco Contri (Dizionario Faroese – Italiano Føroysk-italska orðabók, Føroya Fródskaparfelag, Tórshavn, 2004), originario di Riolunato. (Stefano Mazza)

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