Ghost Stories: il mistero BLUE ÖYSTER CULT pare destinato a rimanere tale

Magari mi aiutate voi a raccapezzarmici. Intesi, ho un’ottima opinione dei Blue Öyster Cult, in generale. O meglio, in particolare, per i primi tre dischi. Ma mi ci sono approcciato, come penso anche qualcun altro, da noi, sicuro che avrei trovato il contraltare americano ai Black Sabbath. Non erano queste le parole usate da Signorelli nella sua vecchia guida ai classici metal, ma il senso era praticamente che i BÖC rappresentavano il vertice americano del quadrilatero hard rock dei ’70. Così trovai Tiranny & Mutation, una vecchia copia ingiallita e a prezzo di favore, al negozio di Cd in città. Oggi sono assolutamente certo di definire quel disco un capolavoro, ma all’epoca mi scioccò. Cercavo hard rock, ma i BÖC sono hard solo se per te sono rock Simon & Garfunkel. Pure Patti Smith era più hard, quando voleva. La Patti Smith che con loro collaborava. E infatti non parlo di Tiranny…,in cui la Smith appare tra i collaboratori e che è un disco di rock’n’roll stupendo, esagitato, ti fa sudare. Capolavoro. Nemmeno di tutta la prima fase della carriera dei nostri. I primi tre dischi sono tutti splendidi e da prendere in blocco, anche se sono più rock’n’roll che hard, secondo me. Semmai il successo, quello grosso, mi sembra sia arrivato dopo, sulla scorta di singoloni straordinari che pure di metal o hard hanno poco, come Godzilla, Burnin’ for You e soprattutto (Don’t Fear) the Reaper. Canzone straordinaria, quest’ultima. Quando te la ritrovi messa a forza nella colonna sonora di un film mediocre ti convince a portarla a termine, la proiezione. Canzone di una cupezza inquieta, ghost song per eccellenza. Eppure qualcuno converrà con me che in fondo si tratta di una canzone sixties, uscita con un decennio di ritardo. Di una versione (migliorata) dello stile di saimonegarfanche. Ecco.

C’entrerà sicuro il fatto che non vengo dal Paese della cheesecake, sempre ostaggio di una nostalgia degli anni del dopoguerra, idealizzati eppure attraversati da più di una sfumatura inquietante: test atomici, droghe, paranoia aliena, alienazione di villette unifamiliari dotate di tv e forno microonde, gang di motociclisti. Nei pochi ritagli di tempo che mi consentono gli straordinari per Metal Skunk S.r.l. starei anche rileggendomi Benvenuti su Marte di Ken Hollings, a questo riguardo. Comunque, su quella nostalgia paranoica secondo me i BÖC ci hanno giocato un bel pezzo di carriera, suonando loro stessi, a tratti, molto sixties quando non addifittura fifties, evocando quella stessa nostalgia di un certo Springsteen degli esordi, ma sempre con quell’ambiguità apocalittica come contraltare. E questo mentre, andando verso la fine dei Settanta e poi sprofondando negli Ottanta, i presunti concorrenti (per lo meno quelli ancora in piedi) evolvevano, diventavano a volte prettamente metal. Insomma, i BÖC, mentre evocavano congiure aliene e paranoie fantascientifiche, col suono non si indurivano mica e andavano quasi indietro, o a lato, in una specie di ucronia parallela retrofuturista. Oppure più semplicemente c’è di mezzo il fatto che i BÖC hanno più a che vedere con l’AOR che con l’hard e sono una cosa troppo americana per essere compresa appieno dalle nostre parti. Così vedo il tatuaggio in mezzo al petto di Wino, ascolto Astronomy rifatta dai Metallica, annuisco, mi unisco al coro di tributo a questi padrini del metal, ma in realtà non capisco esattamente cosa diavolo c’azzecchino. O almeno non più di altri. Che so, degli Stooges o dei Velvet Underground. E quando esce il disco nuovo, evento, intitolato Ghost Stories e anticipato da una splendida grafica horror, provo ad ascoltarlo sperando che si sveli il segreto che si cela dietro la strana creatura di Long Island.

Così parte l’ascolto della prima traccia, Late Night Street Fight (titolo promettente) che si rivela un boogie mediocre con suoni immondi, specie le tastiere. Suoni brutti anni ’80, vecchi, non in senso buono. Vecchi come la paccottiglia media di un mercato dell’antiquariato, che nessuno sano di mente pensa di portarsi a casa. Seconda traccia, Cherry, ancora più indietro nel tempo, saltando i ’70 a pie’ pari per tuffarsi nei primi ’60, realizzando una canzoncina inoffensiva. Terza canzone, So Supernatural, tra una strofa (finalmente) inquieta, anni ’80, che sa di Wire e un ritornello invece molto anni ’90, di quelli che un gruppo medio di epoca brit-rock avrebbe sfruttato per farsi valere in classifica. Quarta canzone, una bella melodia retrò. Io l’ho già sentita… Certo, è una cover degli Animals. Chiaramente, nessuna traccia di hard, figuriamoci di metal, nemmeno il più piccolo indizio.

A questo punto voglio vederci chiaro e mi vado ad informare. E viene fuori che Ghost Stories, il nuovo album dei gloriosi maestri che hanno dato vita all’heavy metal (si dice) è il recupero di bozze del periodo ’78/’83, con le tracce registrate all’epoca restaurate con l’intelligenza artificiale e le lacune colmate da qualche registrazione da parte della formazione attuale. Un Frankenstein, a proposito di racconti dell’orrore.

Non ho voglia nemmeno di soffermarmi sul senso di un’operazione del genere, una presa per il culo cui dobbiamo sempre più abituarci, ora che la deficienza naturale approfitterà sempre più spesso dell’intelligenza artificiale per far soldi facili, spargendo il sale su quello che resta dell’arte e della musica come le conoscevamo. Non so nemmeno quanto sia stato invasivo l’uso, in questo caso. Stavolta magari soffermiamoci su quello che abbiamo da ascoltare, a questo giro. Non vi ho ancora parlato di un soul sciatto (Soul Jive), di un buon brano in stile Rolling Stones (Shot in the Dark), uno zuccherino r’n’b (The Only Thing), un tentato sussulto con una brutta cover dei MC5 (Kick Out The Jams, che altro…). Ancora un paio di brani (il southern di Money Machine, che si dimentica non appena termina, ed il lamento AOR di Don’t Come Running to Me). Ed infine l’unica traccia registrata integralmente ai giorni d’oggi: una cover, chitarra acustica e bonghetti, dei Beatles.

Ora, io sono il primo che ascolta altro e che non si scandalizza se la nostra musica viene mischiata con altro. Non sto nemmeno a ripetervi che questa operazione è una presa per i fondelli o che il disco viaggia tra il mediocre e l’inoffensivo (con un paio di picchi nel campo del carino). Ci arrivate da soli ascoltandolo. Io ho provato solo a cercarci tracce perlomeno di hard, visto che l’album viene generalmente classificato così. Non ne ho trovate e questo permetterete che mi sembri quasi paradossale considerando che i Blue Öyster Cult sarebbero i padrini dell’heavy metal (sulla fiducia). O forse, già, è solo il caso di non dare retta alle etichette e basta. (Lorenzo Centini)

7 commenti

  • In effetti questa cosa dei BOC come risposta americana ai Sabbath o come padrini americani del metal non l’ho mai capita nemmeno io… con tutto il rispetto eh.

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  • Da grandissimo loro appassionato dico che se vogliono chiudere la carriera con questa immonda cagata di raccolta di canzonette che erano scarti persino nel loro periodo peggiore (quello di Mirrors e Cultosaurus), avrebbero fatto meglio a lasciar perdere e lasciare come congedo l’ottimo The Symbol Remains

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    • Condivido ho preso il CD su amazon, meno male che si può sostituire. Sono un appassionato della loro musica ma questo lavoro si poteva evitare.

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    • Simone Biancalani

      A prescindere dal disco,che non ho ancora ascoltato, cosa che non ritengo fondamentale,non apprezzare l’importanza storica di una band come i BOC in campo hard rock, vuol dire a prescindere che la recensione/considerazione è stata fatta dalla persona sbagliata.
      Le atmosfere, i riff , il loro essere crossover tra i generi in maniera intelligente, ne ha fatto una band piuttosto importante per le generazioni successive.
      Comprenderli non si può spiegare,o ci si arriva o no….Forse è meglio che ascolti black metal…

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  • Ciò che crea DA SEMPRE l’equivoco (non solo rispetto a loro) è il termine heavy metal nell’accezione dagli anni Ottanta in poi. L’heavy metal che fu negli anni Settanta non avrebbe mai lasciato presagire cosa sarebbe diventato l’heavy metal negli anni Ottanta. Un amico giornalista di una delle due testate metal più importanti che abbiamo avuto in Italia tra gli ’80 e i ’90, dice sempre che si stupisce proprio della evoluzione verso l’estremo, piuttosto che il contrario. Secret Treaties è considerato uno dei più grandi capolavori dell’hard rock (non Aor) di sempre, per esempio. La storia dei Boc come risposta americana ai Sabbath è stata solo una trovata commerciale dei giornali. È ovvio che i Boc sono molto di più e molto di meno dei Sabbath. Sono un gruppo IMMENSO di heavy metal, quando l’heavy metal non era ancora una gara a diventare sempre più diversi da ciò che già di metal c’era (e lo dico da metallaro che ama anche le evoluzioni estreme). Come tutti, hanno avuto un periodo spettacolare a cui ne è seguito uno così così.
    Oggi… Ma davvero ci si stupisce se un disco delude, dopo 50 anni di carriera?

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    • secondo me ci si perde inutilmente nella catalogazione, per me non ha importanza sapere se ciò che stai ascoltando è heavy metal, hard rock o prog metal!

      quello che conta è l’emozione che ti da la musica

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  • Secondo me un disco del genere che se anche fatto di scarti riguarda un periodo sottovalutato come quello di mirrors e del capolavoro cultusaurus erectus dovrebbe essere recensito da uno che conoscebi BOC in modo piu approfondito e non dal solito quallunquista dei primi tre album. Ci sono almeno 4 pezzi che da soli valgono l acquisto so Supernatural don’t come running tò me, Money machine e soprattutto shot in the dark e non vedo il perché non riproporle. Certo è u lavoro per i fan e si sapeva e in tale ottica l ho acquistato e me lo tengo stretto volentieri.

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