Avere vent’anni: MOTORHEAD – Snake Bite Love

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Sebbene Iron Fist non mi abbia mai fatto del tutto impazzire, è innegabile che con quel disco si sia chiusa un’era indelebile per i fan dei Motorhead. Da lì in poi ci sono state numerose scosse di terremoto che, nel bene o nel male, hanno cambiato le carte in tavola senza mai rompere del tutto il giocattolo. Ad esempio, con il bellissimo Another Perfect Day fu messa in atto una sorta di rivoluzione in favore delle dirompenti melodie, ma i risultati furono incontestabili nonostante il passaparola fra due divinità della chitarra rock blues, come Eddie Clarke e – appunto – il neo entrato a breve termine Brian Robertson (ex Thin Lizzy). A mettere a rischio la creatura di Lemmy fu più probabilmente quanto accadde negli anni novanta. Mikkey Dee ci stava a pennello, ma una volta che Phil Campbell si era ritrovato orfano della compagnia del grandissimo Michael “Wurzel” Burston, il periodo di assestamento che ne conseguì non fu assolutamente dei più facili da affrontare. Premetto: ritengo i Motorhead un gruppo che fino a We Are Motorhead ha avuto tanto da dire – a discapito del ritornello sugli album tutti uguali che si sente in giro – per poi mostrarci una fase finale della carriera fatta di risultati alterni e certe volte, come in occasione di Kiss Of Death, quasi pietosi. 

Snake Bite Love del 1998 è uscito nel pieno di quel periodo, comunque creativo e che vedeva una band in perfetta forma, in cui il terzetto faticò soprattutto per il costante confrontarsi con i precedenti e bellissimi lavoriSacrifice, ovvero l’ultimo con Wurzel in formazione, ed il precedente e clamoroso Bastards. Nonostante Overnight Sensation avesse puntato tutto sulla velocità e sulla semplicità, la sensazione di amaro in bocca riguardante quel titolo è tuttora ricorrente per molti. Non stabilirò quale dei due io preferisca, ma certamente Snake Bite Love se ne uscì – a soli due anni di distanza – più variopinto e spinto da una relativa pesantezza di fondo che era la primaria caratteristica di Sacrifice e dell’ ultimo periodo con Wurzel; al punto di rischiare di replicare in una canzone come Assassin i pattern, i ritmi e le melodie dell’apripista dell’album di tre anni prima. Ad ascoltare Snake Bite Love non ti romperai mai i coglioni, anche se nella seconda metà cala inesorabilmente e lo fa proprio in occasione dei pezzi più vivaci e lineari, quelli che proprio in Overnight Sensation erano risultati le carte vincenti. Il blues è naturalmente dappertutto, e laddove resta in disparte per mettere l’accento sui ritornelli i Motorhead riescono a fare il botto, come nell’iniziale Love For Sale.

La successiva Dogs Of War aumenta le dosi di pesantezza, ma è con la furia di Take The Blame, in netto contrasto con la più cupa Dead And Gone che il disco sembra affermarsi nella direzione migliore. Si chiude con Better Off Dead, un tentativo non troppo convinto di replicare certe fast-track dei tempi che furono.

Non brutto Snake Bite Love, soprattutto se riascoltato così a distanza, ma è l’ombra del passato prossimo a non metterlo in acque sicure. Per alcuni, con Overnight Sensation l’inizio del lento declino della band. A mio parere, un album piacevole, vario e contenente quelle due o tre perle che perfino in un March Of Die non erano assolutamente mancate. Amateli e basta, il nostro Lemmy se lo merita. (Marco Belardi)

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