Le delizie dello scantinato: SEPULTURA – Schizophrenia

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Il mio peggior vizio quando entravo in un negozio di dischi a quattordici anni era fare autentici questionari ai negozianti, al termine dei quali c’era chi si ritrovava davvero esausto. Una volta sola sono stato breve e conciso: ero a Scandicci, e domandai al tizio in questione con cosa partire per ascoltare i Sepultura. Lui mi consigliò Beneath The Remains ma aveva davanti uno di quegli sfigati che, in pieni anni novanta, in casa non avevano ancora il lettore cd. Così passò al reparto delle musicassette, scoprendo con orrore che del gruppo brasiliano erano esposti solamente Morbid Visions e Schizophrenia. Gli lessi in faccia che non mi avrebbe mai consigliato uno di quei due, e nel frattempo notai che erano anche l’unico gruppo “pesante” ad occupare il piccolo scaffale, dominato in lungo e largo da AOR e glam rock come se qualcuno stesse cercando di dirmi che dovevo mollare quella merda, e tornarmene a casa con qualcosa dei Ratt o dei Cinderella. Il tipo prese in mano tutte e due le custodie, ripassò i titoli e poi mi allungò quello con la copertina che aveva lo sfondo celeste. Speravo sinceramente nell’ altro, non so perché, ma Morbid Visions col suo disegno blasfemo sparato in faccia, era indubbiamente un oggetto più allettante.

Presa in mano la musicassetta, con la sua copertina di merda che sembrava disegnata in mezzo pomeriggio dal vicino di casa, ignoravo che mi sarei in breve confrontato con quello che ad oggi ritengo – se non il mio disco preferito – uno dei più grandi testamenti che gli anni ottanta ci hanno lasciato in tema di metal estremo. Schizophrenia mi fa impazzire, punto.

 

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Eppure la sua produzione nefasta ne ha messa in crisi, di gente. Ricordo che da ragazzino andavo al mare a Pinarella di Cervia, zona che molto spesso contrapponeva la sobrietà di ciò che potevi respirare alle celebri Terme, col puzzo infame della mucillagine, alga infestante il cui odore penetrava insidioso fin dentro le vaste pinete. Non impazzendo per i bagni in mare in quel catino maledetto che è l’Adriatico romagnolo, trascorrevo il tempo giocando a beach volley, e ad infastidire i vicini di ombrellone con le uscite discografiche di cui ero venuto a conoscenza. Ci fu l’anno di Jugulator, quello di Diabolus In Musica e ci fu pure quello in cui avevo da poco scoperto Schizophrenia – e fu proprio quest’ultimo a non farmi ascoltare nient’altro per tutto agosto. Una sera, degli amici di Nonantola sentirono il ronzio provenire dalle mie cuffie e mi chiesero di fargli ascoltare “il metal”. Lì per lì, pensai che sarebbe stato meglio avere a disposizione Youthanasia in un momento del genere, e infatti il tizio che prese in mano gli auricolari e se li mise ci restò di sasso, ma apparentemente non tanto per ciò che i fratelli Cavalera suonavano. Mi disse, semplicemente, “ma come è registrato male quest’album?”

Sempre nello scandiccese, la vecchia casa di mia nonna Grazia aveva una caratteristica: un lunghissimo corridoio con in fondo una sorta di cantinetta freddissima rispetto al resto dell’ appartamento, e piena di salumi appesi che proprio lì, si conservavano meravigliosamente in attesa dell’ arrivo di bocche fameliche tipo la mia. Era come se lei scannasse il maiale poco prima che citofonassi – ripulendo meticolosamente il tutto come farebbe un vero killer – a giudicare dal profumo dei prosciutti che inebriava la casa, portando con sé l’aroma del pepe e altre ficate del genere. C’erano delle autentiche delizie là dentro, come il buristo che era fatto con il sangue, oppure la finocchiona. Quell’ odore così eterogeneo è ciò a cui ho sempre associato, oltre alla presenza indiscutibile dei ragni, il concetto di cantina. Da quell’ anno, in cui acquistai Schizophrenia poco prima di partire per la Romagna, un po’ come molti si prendono qualcosa di Wilbur Smith perché la vita sotto all’ ombrellone è fra le più pallose in assoluto, il rumore ottenuto nel 1987 dai brasiliani fu il mio modo di definire, pur parlando di un gruppo che di lì a poco sarebbe definitivamente esploso sotto la supervisione di Scott Burns, il termine “musica da scantinato”.

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Schizophrenia ha quell’ onnipresente fruscio di sottofondo che lo accompagna per tutta la sua ben proporzionata durata: nove tracce – di cui l’intro e una breve strumentale, The Abyss – più alcune bonus sulle quali campeggia la ri-registrazione postuma del cavallo di battaglia di Morbid Visions, Troops Of Doom. E non ce n’è una sola che sia brutta, devi solo toglierti dalla testa la perfezione sonora uscita fuori da Beneath The Remains con un budget ridicolo e un maestro dietro al mixer: qua c’erano solo cattiveria, l’entusiasmo di lavorare finalmente con il chitarrista giusto – di cui parlerò fra poco – e livelli altissimi di ispirazione.

Tornando al negoziante di Scandicci e alla sua difficoltà nel consigliarmi un acquisto del genere, io lo capisco eccome. Quando qualcuno mi chiede che album gli consiglierei, se la discografia del gruppo in oggetto è abbastanza ampia e buona mi vengono sempre in mente tre titoli: quello che ritengo il migliore, quello con cui avvicinerei qualcuno alla band, e il mio preferito. Del gruppo con cui ho iniziato ad ascoltare metal, appunto i Metallica, direi che il primo è Master Of Puppets, il secondo il black album e il terzo Ride The Lightning (senza osare troppo nei titoli, poichè sono piuttosto sicuro che uno come trainspotting sia convinto che io, segretamente, faccia colazione ogni mattina con Load in sottofondo). E così, il disco dei Sepultura a cui sono più legato in assoluto è senza ombra di dubbio Schizophrenia, perché se oggi amo in maniera incondizionata il death metal delle prime ondate, è stato probabilmente lui ad avvicinarmi a certe sonorità rozze, aggressive e prive di compromessi. Certi lavori ti fanno superare lo scoglio di una produzione ostile e guardare ai veri contenuti di un disco così particolarmente contestualizzato, e che sia stato un gruppo di punta sul finire del suo periodo “giovanile” a permettermi ciò, si è rivelata la cosa giusta, avvenuta al momento giusto.

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Altra cosa fondamentale di Schizophrenia, l’ingresso di Andreas Kisser alla chitarra al posto di Jairo Guedz. I Sepultura ne guadagnarono in spessore, senza però assumere subito quella forma da gruppo thrash americano maturo che Beneath The Remains consolidò in loro, dimostrando che la band ci sapeva definitivamente fare negli arrangiamenti grazie ai passaggi curati di pezzi come Lobotomy. No, l’album del 1987 era ancora un assalto frontale, ma la veste non era più quella animale e minimale condivisa coi Sarcofago fino a un anno prima. From The Past Comes The Storm verrà riproposta con frequenza dalla attuale formazione – quella con Derrick Greene alla voce – mentre i classici del disco si identificheranno piuttosto in Escape To The Void e R.I.P. (Rest In Pain) col suo piccolo plagio/omaggio finale a Chemical Warfare degli Slayer, e nell’ ottima strumentale Inquisition Symphony di metà tracklist. To The Wall conserverà tutta quanta la furia cieca degli esordi, con un Max Cavalera scatenato e confuso dagli effetti vocali, dei quali si libererà nell’ immediato futuro ripulendo parzialmente il proprio cantato.

Non serve dire altro: amo questo disco e gli devo tantissimo, e per questi motivi ho deciso di tributarlo. (Marco Belardi)

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