PHILIP H. ANSELMO & THE ILLEGALS – Choosing Mental Illness As A Virtue

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Quando c’è di mezzo Phil Anselmo è sempre un bel casino. Non gli chiederei neppure di reggermi una bottiglia mentre mi allaccio le scarpe, perché la distruggerebbe in pochi secondi o finirebbe per inghiottirne il vetro, ma gli voglio sinceramente bene. Non me ne frega niente della diatriba con Flynn su quel braccio alzato o del divorzio con Opal, casomai gli imputo l’andazzo di certi screzi che – ai tempi dei Pantera – hanno fatto andare le cose come tutti quanti sappiamo. Se è una personalità difficile con un carattere altrettanto ostico, non è un problema mio e mi limiterò ad ascoltarne i dischi finché egli vorrà registrarne; il metallo si reggeva mediaticamente sulle cazzate che combinavano quelli come lui, e spererò a vita che i rocker futuri continuino ad essere anche così, ovvero con la testa piena di tritolo.

C’è stato un periodo in cui certi suoi side project o collaborazioni avevano assunto le sembianze di scampagnate con la moglie all’ insegna di bondage, gore e caproni, ma col tempo sono finito per farmi piacere – e neanche poco – pure i Viking Crown. Phil lo trovo discretamente a suo agio quando si cimenta nel riproporre materiale estremo, perché ci mette del suo e si rifà sempre alle radici dei generi che intende trattare. E lo fa senza mai pretendere di snaturarli, come se volesse semplicemente rendere onore a tutto quello che di più marcio ha ascoltato in gioventù: perfino coi Christ Inversion e i recenti Scour mi ha spinto ad ascoltare la sua roba, anche quando non c’era da applaudirla proprio tutta. Poi si è messo a suonare la chitarra anche negli Arson Anthem, come una bestia incapace di stare ferma che fa avanti e indietro lo stesso percorso attaccata ad una catena. La cosa buffa, è che stiamo parlando dello stesso tizio che saliva di tono su Proud To Be Loud e che, solo due anni dopo, contribuirà all’esplosione a livello mondiale della sua band. Un giorno due righe su Power Metal voglio scriverle, perché è un’altra di quelle cose che mi porterò sempre dentro con tutte le sue imperfezioni.

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Come dicevano i Tool, “Sober”

Sebbene i Superjoint Ritual siano una dimensione in cui molti lo riconoscono maggiormente, e i Down il nome di maggior richiamo – anche se mi interesso poco a loro da quasi una decina d’anni, e penso che si siano generalmente rotti il cazzo – quella del progetto solista con i fantomatici The Illegals in appoggio è sicuramente la band che recentemente mi ha incuriosito di più. Ricordo che Walk Through Exits Only fu all’unanimità sommerso di merda come non ricordavo da certe cose fatte con Killjoy dodici, forse quindici anni prima. La mia idea su quel dischetto era che avesse qualche buon pezzo, come Betrayed o la title-track, ma che a fronte di una prova vocale piuttosto ispirata contenesse poche idee chiare e un po’ troppa confusione sul da farsi. Il nuovo The Illegals è più compatto e non vive di riff o passaggi fortunati, così come fa al caso nostro anche una minore presenza di brani puramente etichettabili come filler. Parliamoci chiaro: nulla per cui strapparsi via i capelli, ma è un buon disco in cui la direzione intrapresa è chiaramente quella del death metal – con qualche passaggio che ha del già sentito, come certi pattern dell’ opener che vagamente richiamano la recente For No Master dei Morbid Angel. Potrebbe iniziare a sembrare un viziaccio, poiché già nel precedente lavoro Betrayed aveva un attacco molto, anzi troppo simile a quello di Cyberwaste dei Fear Factory, ma passerò oltre.

Il discorso è che Choosing Mental Illness As A Virtue si perde meno in chiacchiere e – mentre ti sommerge di blast-beat da destra e sinistra – relega finalmente in uno spazio minore citazioni e cazzeggio di natura varia. E meno male. Il muro sonoro è più alto che in passato, sorretto da frequenti dissonanze ad opera delle chitarre che richiamano i cliché del doom in molte delle tracce, tipo Utopian. Il minutaggio meriterebbe di essere sensibilmente abbassato, perchè sono proprio i pezzi più lunghi – come la conclusiva Mixed Lunatic Results – a centrare meno il bersaglio. Ma sono tutti discorsi, la realtà è che Phil Anselmo quando esce fuori con i suoi figli minori, a volte riesce davvero a stamparti un punto interrogativo sul volto, ma in altri casi puoi soltanto stimare la sua passione per la musica pesante in ogni sfaccettatura.

Buon ritorno dunque, in attesa – e lo dico provocatoriamente – di riuscire a farmi piacere anche una singola nota degli Hellyeah. Phil Anselmo dimostra che le cose di migliore qualità, ad oggi continuano a uscire solamente grazie ai ranghi principali in cui milita. Non sarai mai autore di Waiting For The Turning Point o Lysergik Funeral Procession se non ti trovi con le persone giuste al momento giusto, ma di certo questi side-project – come anche gli Scour – contribuiscono e quasi ogni volta contribuiranno a farmi perdonare questo controverso personaggio. Purché non si riprovi a togliere dall’armadio i Pantera, mettere sul palco l’ologramma di Dimebag o fare stronzate ancora più colossali. (Marco Belardi)

11 commenti

  • un Phil Anselmo c’e’ e ci sara’sempre in tutte le comitive,un cazzone che se passa molto tempo senza vederlo ti manca. e’ quella canaglia che, se sei nei guai, e’ il primo a mettersi al tuo fianco senza farti domande e credetemi di guai ne ho passati tanti.

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  • Più Phil Anselmo meno Papa Bergoglio

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  • Mah, dopo i Pantera, musicalmente, il nulla

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  • Non ho ancora sentito questo album e provvederò. Concordo con più o meno tutto. E’ da un po’ che Philippone non becca un disco, di quelli che ti fanno cadere dalla sedia. Ma ha sempre avuto il pregio di non sputtanarsi, mettendosi a sputare sul suo passato e uscirsene con cose tipo post hardcore e altra roba che tira adesso. Solo per vendere due copie in più, pisciando sopra la coerenza. Continuare ad attingere da ciò con cui si è cresciuti, è la cosa giusta da fare. Penso che ormai abbia finito la benzina, se succederà avrà al massimo ancora un super album in faretra e basta. Però capisco anche che alla sua età, se hai fatto musica per tutta la vita, smettere e riciclarti a fare altro è dura, perché se ami quello che fai, la pensione non è una prospettiva allettante.
    Waiting for the turning point è una badilata sui denti tirata da Conan il barbaro e Lysergic funeral procession, insieme a There’s something on my side e The man that follows hell, sono per me una sacra triade, che apre quell’album che adoro che è A bustle in your hedgerow. Quindi d’accordo su tutta la linea.
    Poi è vero, da un po’ di anni non ne prende una per davvero, ma a lungo ha spinto il piede sull’acceleratore come pochi.

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  • Fa cagare da 20 anni ma continuiamo a giustificarlo per la passione…bah

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  • L’ultimo disco con Phil Anselmo che ho ascoltato è the Great Southern trendkill.
    Ah no, anche i down……tutto il resto post pantera serve a poco, ma gli voglio bene lo stesso. I vecchietti della mia età che hanno vissuto in diretta il fenomeno pantera sanno che effetto dirompente fecero e sanno che senza di loro certe cose che si sentono oggi non suonerebbero come suonano.
    Vado a fare due passi.
    Un abbraccio

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  • Pingback: Il punto di rottura dei PANTERA: Power Metal | Metal Skunk

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