Avere vent’anni: settembre 1997

SADUS – Elements of Anger

Marco Belardi: Non ho mai capito se preferissi i Sadus più slayeriani, ovvero quelli del debutto Illusions, o i successivi. Fattostà che nell’album del 1997 li troviamo arricchiti dell’esperienza con i Death avuta da Steve DiGiorgio (la coda della opener Aggression è esplicativa in tal senso) e con un album maturo, non necessariamente veloce per colpire al primo ascolto (Crutch), e dal quale avremmo gradito un immediato successore anziché attendere fino al 2006. Ritrovare due terzi della formazione che incise questa perla immischiati nei Dragonlord a inizio anni duemila sarà un problema ancor più grave dello stesso scioglimento.
Thrash metal tecnico, con un basso elettrico in grado di innalzarsi sopra al muro di chitarre e proporre le melodie portanti, ed una linea vocale di carattere caustico firmata abilmente da Darren Travis. E poi io sono un fissato delle produzioni fatte per bene, e qui era davvero la perfezione. Pulita, potente, ma senza volere risultare sopra le righe. Questi erano i Sadus, negli anni in cui molti si limitavano ad accodarsi al carrozzone Pantera, ed altri avevano letteralmente mollato il giocattolo che fece le loro fortune. Sì, Elements Of Anger ve lo consiglio senza dubbio.

NIGHTFALL – Lesbian Show

Ciccio Russo: Non era necessario avere un contratto con Century Media ed essere prodotti da Waldemar Sorychta per accodarsi al carrozzone gotico che imperversò nella seconda metà degli anni ’90. A differenza dei concittadini Rotting Christ, i Nightfall furono però tra i tanti che andarono a sbattere così violentemente da non riprendersi mai davvero. Sia chiaro, l’intento era quello, nobilissimo di rastrellare più patata e Lesbian Show, alla fine, non era manco un brutto disco. Appena due anni prima però era uscito quello che resta il loro capolavoro, quindi potete immaginare come ci rimasi all’epoca.
Athenian Echoes aveva già accennato il discorso quindi un’evoluzione commerciale non sarebbe stata necessariamente una scelta sballata. I pezzi però sono piatti e banalotti, per quanto la classe e il mestiere ci siano ancora. Gli ateniesi avrebbero toccato il loro punto più basso due anni dopo con Diva Futura, dichiaratamente ispirato all’opera del compianto vate Riccardo Schicchi.

SAVATAGE – The Wake of Magellan

Charles: Neanche sto a decantare le lodi dei Savatage perché la loro superiorità dovrebbe essere un assunto di base. Dunque la faccio cortissima. The Wake of Magellan è l’ultimo grande album degli americani (e pure il penultimo prima che si sciogliessero) e come i precedenti è talmente avanti coi tempi (e paragonabile pressoché a nient’altro) che per capirlo bene mi ci sono voluti vent’anni. Vent’anni in cui non ho mai smesso di ascoltarlo (anche perché li ho scoperti tardissimo proprio con questo disco, che non è il migliore ma, come sempre accade in questi casi, è il mio preferito). Ancora oggi mi si impappinano le sinapsi quando ascolto la title track con quei cori che si sovrappongono. Che belli che erano i concept album degli anni ’90. Ma che ve lo dico a fare.

IRON MONKEY – st

Marco Belardi: Gli Iron Monkey -come si dice in Toscana- sono durati quanto un gatto sulla statale Aurelia. Si sciolsero dopo circa tre anni dal debutto omonimo, per poi far parlare di sé con la scomparsa dell’ancora giovanissimo vocalist Johnny Morrow. Quello che ricordo è che, all’epoca, li presi inspiegabilmente sulle palle a causa del moniker, che mi suonava sbagliato, e che in realtà il loro sludge era piuttosto godurioso, potente e cupo, sovrastato da una voce disperata e -grazie alla Earache- ben allestito sin dal primo album. Il successore –Our Problem– avrà un sound ancora grezzo e possente, ma una produzione leggermente più orientata agli standard metal. E non lo preferisco ad Iron Monkey. Ognuno prenderà la propria strada dopo un EP: Justin Greaves finirà ad esempio dalle parti degli Electric Wizard ed in un progetto di Lee Dorrian. L’unico motivo per cui mi sento davvero di scrivere due righe nei confronti di questi ragazzi, e del loro primo parto in studio, è che si sono riformati e nella reunion ci sarà pure il chitarrista originale Jim Rushby.

r-761638-1270715846.jpeg

SACRAMENTUM – The Coming of Chaos

Michele Romani: I Sacramentum sono stati tra le più belle realtà della gloriosa scena black-death metal svedese di metà anni ’90, sempre passati un po’ in sordina rispetto ai grandi nomi del genere ma non per questo meritevoli di attenzione. Il compito di The Coming of Chaos era in realtà piuttosto ostico se non impossibile: rimanere in qualche modo di rimanere sui livelli dell’incredibile Far Away From the Sun, per quanto mi riguarda uno dei più bei lavori mai usciti dalla Svezia. La band di Goteborg per l’occasione si mantiene sempre sui territori di un classico death-black di matrice melodica come si suonava ai tempi, anche se per questo disco il tipico riffing black metal sembra lasciare più spazio ad influenze di tipico stampo death metal, con il fantasma del buon Nodtveidt che inevitabilmente aleggia su tutte e nove le composizioni presenti, come del resto in buona parte delle uscite del periodo. Il risultato finale è accettabile, anche se si ha come l’impressione che il disco, soprattutto nella parte finale, sia un po’ tirato via. Ma se non siete mai incappati nella musica dei Sacramentum andate dritti sul debutto senza indugiare, non ve ne pentirete.

BRUTAL TRUTH – Sounds of the Animal Kingdom

Ciccio Russo: All’epoca mi aveva deluso tantissimo e lo accantonai abbastanza presto, diretto verso nuove avventure. Fu comunque uno dei migliori dischi grind dell’anno. Però mi aspettavo qualcosa di più dopo un ep mostruoso come Kill Trend Suicide, in grado di rivaleggiare con il full predecessore, l’immenso Need to Control (un po’ lo stesso discorso dei Suffocation, Despise the Sun, sedici minuti e mezzo che se la giocavano tranquillamente con Pierced From Within). L’anno successivo si sarebbero sciolti e, col senno di poi, si percepì che Sounds of the Animal Kingdom suonava scazzato e un po’ sotto tono perché qualcosa nella band si era incrinato. Nondimeno, è uno dei dischi più sperimentali dei Brutal Truth. Lilker svariona senza ritegno con le sue nuove passioni il black metal e il post hardcore. Ma la componente industrial, purtroppo, è messa più al servizio del Thc che della violenza. Proprio perché lo split era vicino, tanto valeva drogarsi e cazzeggiare.

DOMINE – Champion Eternal

Charles: Oggettivamente, i Domine sono il primo o massimo il secondo miglior gruppo metal che abbiamo mai avuto in Italia. Qui i gusti non c’entrano niente, è proprio un dato di fatto e non c’è molto da discutere su questa cosa. Prima di loro potrei metterci solo i Rhapsody, ma non perché mi piacciano di più (non sarei neanche in grado di scegliere tra i due), ma perché oggettivamente hanno avuto un’eco internazionale molto più ampia di Morby e compagnia, lasciando di fatto un segno più profondo nel panorama metal. Non è solo una questione di seguito però, non mi fraintendete, ma di rappresentatività nazionale. Nel senso che, pur non avendo avuto dischi/gruppi che hanno segnato una svolta grossa, dando vita a un filone e cose del genere (quindi risparmiatevi di citare questi o quegli altri) e avendo sempre importato i modelli che venivano dall’estero, siamo comunque stati in grado di esprimere al meglio un’attitudine originaria. Quella del metal, appunto, che nessuno in Italia ha saputo esprimere meglio dei Domine.
In un mondo perfetto i Domine sarebbero headliner, che so, al Wacken o a festival power-epic internazionali, e i loro dischi svetterebbero in cima alle classifiche. Quando un metallaro straniero pensa all’Italia, non dovrebbero venirgli in mente i Lacuna Coil, ma i Domine. Ma non è così, perché viviamo in un mondo stupido e infame. Champion Eternal è stato alla base della mia formazione di metallaro così come nella letteratura lo sono stati I Promessi Sposi, l’Orlando Furioso, Il Piacere o I Malavoglia. Un enorme ringraziamento ai quattro campioni eterni che rispondono al nome di: Adolfo Morviducci, Enrico Paoli, Riccardo Paoli, Domenico Palmiotta. I Domine sono il Metallo. W il Metallo. Applausi.

10 commenti

Lascia un commento