Avere vent’anni: RUSH – Test for Echo

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Da ferocissimo fanatico dei Rush quale sono sempre stato, mi sono divertito negli anni a sezionarne la carriera e a studiarla nei minimi particolari. Come già dichiarato più volte dallo stesso Geddy Lee, essa è fatta di periodi in cui si possono individuare uno o più “punti di riferimento” in termini di uscite discografiche significative per una svolta o che ben rappresentino il suono della band durante un’epoca ben precisa. Album come Fly by Night o 2112 descrivono alla perfezione gli anni settanta dei nostri, nonostante l’intera decade sia stata segnata da una sequela di dischi indimenticabili. Come scordarsi infatti di Caress of Steel, A Farewell to Kings o del seminale Hemispheres, che si può considerare il primo vero disco di prog metal in senso stretto, dove i pezzi erano già strutturati in maniera simile a come avrebbero fatto ben dopo artisti del calibro dei Dream Theater e dei Fates Warning dell’era Ray Alder. E non fatemi iniziare a parlare di Neil Peart, vi prego. Insomma, furono loro a stabilire i nuovi standard. Per dirne una: lo stesso Alex Lifeson ricorda che incidere soltanto il pezzo di chiusura di Hemispheres, La Villa Strangiato, richiese lo stesso tempo che ci volle per registrare l’intero Fly by Night. La svolta arrivò con Moving Pictures, e fu là che inizarono gli anni ottanta, altra decade ricca di soddisfazioni e album memorabili che però andarono perdendo leggermente in intensità e creatività verso la fine.

Arrivata negli anni novanta, la band aveva decisamente bisogno di nuovi stimoli e di un altro album “faro”. Questo sarebbe necessariamente dovuto essere Test for Echo. Innanzitutto la scelta fu quella di tornare, all’inizio del decennio, ad un suono più dominato dalle chitarre e abbandonare i synth che avevano contribuito a creare una nuova identità musicale nel decennio passato. E direi che in tal senso Test for Echo è per i Rush l’album più rappresentativo di quel periodo. Il songwriting scorre più liscio del solito, ma solo apparentemente, perché se si va a scavare sotto si scoprono le jazzate e swingate di un Neil Peart in forma strepitosa. Una variante di stile sempre animata da quella classe che è il suo marchio di fabbrica indelebile e ha fatto scuola negli anni. Ascoltate pezzi come Driven o la bella Totem, intima e ispirata. E leggete i soliti splendidi testi dello stesso Neil.

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Un album moderno per tempi moderni che si discosta dalle strutture più complicate del passato e risulta estremamente godibile, seppure eseguito con una competenza tecnica rara. Purtroppo dopo la sua uscita ci fu un lungo periodo di silenzio dovuto alle tragedie personali di Neil Peart, che perse figlia e moglie nel giro di pochi anni. Tragedie che causarono delle ferite profonde e ispirarono la sua carriera di romanziere. Ecco perché Test for Echo è da considerare come l’ultimo disco di un’altra epoca. I successivi album, purtroppo, mostrarono al mondo una band in evidente declino a livello compositivo, anche se in una forma live strepitosa, come solo dei veri professionisti (e, fatemi aggiungere, mostri) possono essere.

Ah, dimenticavo, la copertina è una delle più belle di sempre. (Piero Tola)

5 commenti

  • Lorenzo (l'altro)

    gran gruppo

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  • Onestamente è uno dei dischi dei Rush che mi ricordo di meno, mi hai fatto venir voglia di riascoltarlo.
    P:s. Citando Caress Of Steel mi hai fatto sentire meno solo.

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  • Bel pezzo, ma quello che scrivi vale secondo me molto più per Counterparts che per Test. Counterparts aveva davvero un suono asciutto e spoglio, secco e diretto, per via di una precisa e severa indicazione del produttore. Il periodo anni 90 inizia con Roll the Bones e prosegue con Counterparts prima di arrivare a Test for Echo: la loro svolta “pulita” secondo me è già tutta qui :)
    Ma ovviamente stiamo spaccando il capello, come nella migliore tradizione del prog, perché trovare un disco più o meno bello dei Rush è impossibile!

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  • Il mio nickname parla da solo sul mio amore per i tre canadesi…. ma questo francamente l’ho sempre ritenuto uno dei loro album più deboli. Tutto formalmente perfetto ma pochissimi pezzi che si fanno notare. Giusto la title-track, Driven e Resist.
    Il precedente Counterparts è su un altro pianeta, ma pure i dischi dopo sono più freschi e ispirati (declino compositivo? Ne uscissero tutti gli anni di dischi come Clockwork Angels… :P )

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  • Pingback: Avere vent’anni: novembre 1997 | Metal Skunk

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