VARATHRON – Untrodden Corridors of Hades (Agonia Records)

16753d8f-a04c-45f8-89d6-a97a7c73ffaaQuando vecchie glorie tornano a sfornare dischi decenti succede che, per attimo, riesci pure a mettere da parte l’astio nei confronti delle reunion e altre operazioni più o meno commerciali, tipo riesumazione di cadaveri e raccolte differenziate, che stiamo subendo ormai da troppo tempo e che stanno trasformando gran parte del metal odierno nel simulacro di se stesso o, peggio, in una triste macchietta. Queste, dunque, sono anche occasioni per andare a riascoltarsi un po’ di roba messa da parte e mai più toccata, per mancanza di tempo o per via della continua rincorsa alla novità o perché semplicemente dimenticata, il che, per quanto mi riguarda, corrisponde sempre un po’ al guardarsi allo specchio. Non voglio buttarla sul patetico o ai livelli dell’intima commozione che attanaglia il sensibile Bargone quando parla dei Rotting Christ, però è vero, a volte ti scopri diverso ma con le stesse opinioni, mentre per certe cose vedi che sei uguale a prima ma hai punti di vista diametralmente opposti, nel frattempo però sono passati venti cazzo di anni.

Tra gli interpreti ellenici della seconda ondata del black metal, imprescindibili erano proprio i Varathron. Dischi come His Majesty at the Swamp e Walpurgisnacht bisognava averli in casa. Personalmente li ho amati ancora di più con l’EP The Lament of Gods, dove per me la più sinfonica The World Through Ancient Eyes bastava da sola a giustificare un’intera discografia, e nella classifica di gradimento individuale li ho sempre posizionati subito dopo Rotting Christ e Necromantia. Ma diciamo anche che, mentre i primi sono rimasti una presenza costante, i Necromantia e i Varathron li avevo praticamente rimossi. È quindi con estremo piacere che ho colto l’occasione per ripassare in rassegna anche altri dischi che il tempo aveva sotterrato e gruppi che, a parte i Thou Art Lord, autori del recente The Regal Pulse of Lucifer (album grezzo ed efficace molto in linea con la storia e lo stile cazzeggione della band), erano venuti in un secondo momento, tipo Agatus, Deviser e Zemial

Nel frattempo m’è toccato pure di recuperare l’album della reunion dei Varathron, Crowsreign, che per fortuna mi era completamente sfuggito all’epoca (un pastrocchio death metal il cui senso non mi è ben chiaro) e dare un ripasso a Stygian Forces of Scorn, che è sicuramente un bel lavoro, ben suonato e ricco di pezzi piacevoli, ma che potrebbe essere stato fatto da chiunque e a qualsiasi latitudine. Untrodden Corridors of Hades, invece, ha rafforzato la buona considerazione che avevo conservato sui Varathron, perché è un disco semplicemente credibile e collocato nel presente. Cosa forse ancora più importante, è il classico disco di black metal greco come ti aspetti possa venir fuori oggi. Dai labili confini tra doom, death e black dei primi anni, abbiamo visto i contorni inspessirsi sempre più, definirsi e diventare canone; un’identità precisa che però riporta la memoria alla maniera con cui in Grecia venivano reinterpretati schizzi, tracce e bozzetti del BM nord europeo di fine anni ’80 che, in quanto italiani, ci suonava già all’epoca molto familiare, perché mediterranea, casereccia e folkloristica (un treno che ci è passato davanti e che non siamo stati in grado di cogliere compiutamente). Tutto questo lo ritrovo in Untrodden Corridors of Hades. È mistico ed inquietante, c’è il pathos nell’evocazione del Maligno ma, come da migliore tradizione ellenica, non appare esteticamente votato alla spasmodica e un po’ teatrale dimostrazione di unholiness a tutti i costi, che tanto ossessionava i colleghi norvegesi nelle dichiarazioni di intenti come negli atti. (Charles)

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