ULVER – “War of the Roses” (Kscope)

Per poter parlare dell’ultimo Ulver non si può prescindere dal fare un riassunto delle puntate precedenti, quantomeno per capirci qualcosa sennò rischiamo di andare pé cicoria. Partiamo con questo assunto cioè che War Of The Roses rappresenta un inatteso ritorno alla musica dopo circa 13 anni di… di altro. Lasciatemi argomentare. Ordunque, gli Ulver sono una band un pò strana, occulta ma tutto sommato rispettata. Perché? Se non facevano un album serio da 13 anni! Perché uno dovrebbe rispettarli? Le cose infatti sono andate più o meno così:

nel 2007 esce Shadows Of The Sun: una palla mortale, periodo orchitico superato quasi indenne;

nel 2005 esce Blood Inside: oggettivamente brutto, tranne il pezzo Blinded by Blood dove però sembrava che da un momento all’altro dovesse spuntare fuori l’indiano che cantava eja-eja-eja (più che un indiano, un sardo ubriaco – uno a caso). Infarcito di sperimentazioni assurde e sostanzialmente inutili: sembravano dei Solefald a cui avessero tolto il senso dell’udito, tagliato il budget, scordato le chitarre, stuprato le mogli e sequestrato le nonne. Giusto un attimo di confusione; sono errori che bisogna fare per capire: <<ecco, questo non si fa a papà>>;

nel 2003 e nel 2002 escono rispettivamente Svidd Neger e Lyckantropen Themes, due album concepiti come colonne sonore per film. Svidd molto atmosferico, ricco di parti di pianoforte, trombe soffuse. Potrebbe andar bene per un film tipo l’adattamento horror della tragedia del sottomarino russo Kursk affondato nel mare di Barents (non chiedetemi il perché). Nel complesso non male ma tranquilli, sopravvivere senza averlo mai ascoltato è facilissimo. Per l’artro, un solo commento: la roba alla Mike Patton lasciamola fare a Mike Patton;

nel 2000 esce Perdition City inutile gonfiore scrotale avantgarde come Shadows;

ed eccoci al 1998 anno in cui viene pubblicato Themes from William Blake’s The Marriage of Heaven & Hell che è l’ultimo album che possa definirsi tale: complesso e articolato, un grande concept su Blake. Che possa anche non piacere è normale a causa delle troppe pause e dei silenzi senza senso, ma come proposta innovativa ci sta. Questo è stato decisamente l’anno in cui gli Ulver hanno smesso di essere Ulver seppure per un attimo avevo sperato che con tale sfogo si fossero tolti ogni sfizio, ma mi sbagliavo evidentemente come s’è visto, bah.

Tutto ciò che precede il ’98 è un album black metal molto sparato e canonico come nella media dell’epoca, no more no less, un altro totalmente folk, stupendo gemello di A Wintersunset degli Empyrium ed insieme ad esso creatore del symphonic dark folk che è venuto in seguito. Tutto ebbe inizio, come ben sappiamo, con Bergtatt forse la vera faccia dei “lupi”, o quella che preferiamo ricordare. O forse l’unica che valga VERAMENTE la pena di ricordare?

In definitiva, oggi siamo nell’epoca in cui gli Anathema (con buoni risultati) si mettono a fare i Porcupine Tree e gli Ulver (con risultati più modesti ma sempre meglio della robaccia ascoltata negli ultimi anni) si mettono a fare gli Anathema. Vabbé niente di male, ma ammetterete pure che uno si possa disaffezionare. (Charles)

Per ricordare come li abbiamo amati…sigh sob

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