Cosa bolle (e bolliva) nel pentolone del thrash norvegese
A metà gennaio è uscito uno dei primi botti del 2024, Altered Realities. Ho fatto in tempo ad ascoltarlo e nella chat Telegram riservata ai lettori già era partita la discussione annessa. Quel luogo virtuale da sempre riserva una particolare attenzione per il filone in questione: io lo chiamo buonsenso, e ammetto che, fossero tutti a ragionare dei Freedom Call, l’avrei silenziata da parecchie stagioni (infido Belardi, per colpa tua un gattino è appena morto schiantato, ndbarg).
I SOVEREIGN di Altered Realities sono norvegesi, un paese che, non appena è scesa l’alta marea del black metal, ha dapprima tentato di riciclarsi in svariate maniere, fra cui l’americaneggiante e ardua via tentata dai Blood Red Throne, e poi è piombato in un vago e immeritato silenzio. Di metal norvegese ne è uscito a bizzeffe come da consuetudine, ma a finire sulle copertine delle riviste sono stati i Leprous. Un’altra pasta insomma. Diciamolo chiaramente, i gruppi che andrò menzionando non faranno mai chissà quale chiasso, ma è innegabile che nella pentola norvegese stia bollendo qualcosa di buono e d’attinente al mio amato thrash metal. Partiamo quindi con i Sovereign, dopodiché, tralasciando gli Inculter sui quali ho già scritto ben due pezzi, romaiolo alla mano, andremo a ripescare il resto.
La voce è quella del Chuck Schuldiner di Leprosy e Spiritual Healing, la musica, rozza e tombale, non rinuncia a tastiere e tecnicismi d’ogni sorta che rimandano ai Nocturnus e a una titolistica aliena cara a Vektor e Blood Incantation. Di base, però, fanno un cinquanta e cinquanta fra thrash metal e death della vecchia scuola. Stabilire dove stesse il confine fra le due voci nelle annate 1987 e 1988 è roba da tribunale e non approfondirò.
L’album fa perno su pezzi di qualità assoluta. Il rallentamento a tre quarti di Futile Dreams è da occhi lucidi, la successiva Nebular Waves fa piangere alla stessa maniera in cui un divano e un film con Sandra Bullock ci riescono con le ultratrentenni. È tutto così bello ed essenziale e, nonostante la presenza di una suite in chiusura, non riesco a smettere d’ascoltarlo.
Alla domanda di un lettore, l’affezionatissimo Ver, che interrogava su chi oltre ai Sovereign e agli Inculter meritasse ascoltare nell’amata Norvegia, sono entrato in frenesia.

Nekromantheon
I NEKROMANTHEON sono in tal senso dei veterani e già nel 2005 suonavano un thrash metal ultraaggressivo in un’epoca cara all’avantgarde black e a poco altro d’interessante. Ci hanno deliziato nel 2022 con l’ottimo Visions of Trismegistos, con una copertina più incasinata del suo stesso titolo, ma, se debbo dirla tutta, gli preferisco il precedente Rise, Vulcan Spectre, registrato nel 2012, un attimo prima di scomparire dalle scene per un ingiustificato e interminabile periodo. Le chitarre sono un crocevia fra quel che un tempo avrebbe fatto Andreas Kisser e un approccio speed metal alla Toxic Holocaust, i titoli sembrano un delirio di Tom Gabriel Warrior e abusano di terminologie come usurper.
Electric Warfare attacca col solito tonfo sordo di Arise. E’ l’ultimo disco dei DEATHHAMMER, attivi anch’essi dal 2005 e da allora mai domi, un po’ come la Mary Succhiei di Jaws, morta all’età di anni centosei. Acuti alla Slayer, speed metal senza compressi alla maniera del primo Hellripper con echi d’Inghilterra disseminati qua e là come preziose spezie su arrosto appena levato dalla marinatura. Ma che scrivo, mi sta venendo fame.
Sono in effetti le 11:25 e qui in Toscana si pranza all’orario dei contadini, non come voi milanesi che alle 14:00 siete ancora a ordinare un altro spritz accompagnato da due stuzzichini biologici chilometro zero.

La sobrietà e il baffo da pornoattore dei compianti Condor
Tocca ora a Unstoppable Power, unico testamento dell’esistenza dei CONDOR oltre all’omonimo debutto. I Condor, nella lista odierna il gruppo col nome più bello in assoluto, hanno fatto perdere ogni traccia di sé subito dopo la sua pubblicazione e al controllo odierno su Metal Archives risultano in effetti sciolti. Anche qui si parla di blackened thrash, una versione spinta a tavoletta degli Aura Noir e degli efficacissimi Nocturnal Breed del secondo album – anche di loro ho già scritto a sufficienza e non mi dilungherò, ma l’amore è amore e ho dovuto in qualche maniera menzionarli – che non concede tregua alcuna. Ho riascoltato l’album adesso, mentre lo stomaco iniziava a brontolare con insistenza, giusto per capire se rallentasse mai: lo fa, tipo in You Can’t Escape the Fire, che rallenta e ci trasmette aspetti della produzione sinora rimasti dietro la porta, come quel basso pulsante a firma Christoffer Brathen, certamente un fan dei film italiani anni Settanta, avendo optato per un efficace pseudonimo come Chris Sacrifice.
Il romaiolo continua a rimestare fra tutto quel brodo, gli odori e il lampredotto: i TOXIK DEATH hanno raggiunto quota due in vent’anni di carriera con Sepulchral Demons, solita solfa per cui è inutile che mi metta a elencarne le influenze, più un vocione quasi alla Violentor. Buon disco anche questo, a tratti monocorde nelle chitarre alla stregua dei primissimi Sodom, forse meno significativo dei precedenti che ho elencato.
Mi riallaccio in chiusura ai primi, i Sovereign, citando un altro gruppo debitore a quel che chiameremmo death/thrash, i SEPULCHER , anch’essi norvegesi. Un cantante particolarmente eclettico, Andreas Fosse Salbu, oggi turnista con Abbath al basso e già collaboratore occasionale con i Cockroach Agenda, più uno stile che si inquadra come un death/thrash fortemente tinto di doom. Panoptic Horror l’album su cui vi indirizzerei, Scourge of Emptiness la perla che quasi cita i nostrani Necrodeath, per poi lasciare Salbu in preda a un delirio vocale per mezzo del quale lo paragonerei al Petrozza fuori controllo dei primi anni Novanta. La domanda ora è: perché stavolta ho scritto death/thrash e non thrash/death? Mi tormenterà fino a stasera questa cosa. (Marco Belardi)





Eh per Satana quanta roba, mi serve tutta la settimana per ascoltare tutto.
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Il fatto che in Norvegia si suoni thrash la dice lunga sullo stato di decadenza in cui versa l’Europa.
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