Le delizie dello scantinato: TARGET – Master Project Genesis

Non sentirete gran chiacchiere sulla scena thrash metal del Belgio, perché non è mai davvero esistita. Non si rintracciano formazioni locali che possano aver avuto un’influenza oltre i confini nazionali, cosa che noi, al contrario, avremmo potuto dire dei Necrodeath di Into the Macabre. Nonostante le scoraggianti premesse ho sempre avuto una fissa per i Target del secondo album Master Project Genesis e, in seconda battuta, per i Cyclone; pertanto eccomi a scrivere di thrash metal belga in compagnia di un buon Bruichladdich.

Partiamo dai Target, che agli altri penserò poi. La band non ha mai avuto la possibilità di mostrarci un’evoluzione: non sono gli Atrophy, che quando fecero Socialized Hate erano così pronti da illuderci d’ascoltare un gruppo già alla fatidica soglia del terzo sigillo. I Target non sono affatto nati pronti, e il loro debutto Mission Executed del 1987 ci propose un gradevole speed metal che, già all’epoca, potevamo tranquillamente definire stereotipato. Aveva tutte le caratteristiche del proto-thrash di due o tre anni prima, e nessuna di quel techno-thrash che sottotraccia già andava prendendo forma, seppur non godesse dell’effetto mediatico che avrebbe avuto con …And Justice For All.

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Master Project Genesis è uscito nel 1990, a giochi quasi fatti. In seguito a esso tennero botta i Dark Angel ancora per qualche mese, con l’uscita di Time does not Heal, e oltreoceano i Coroner, mentre i Voivod erano impegnati a semplificare il proprio suono il più possibile. Accomuno il secondo dei Target al secondo dei Toxik, Think This, per la netta contrapposizione rispetto a quanto suonato un attimo prima e perché entrambe le band si liberarono del cantante originale. I Target però, a differenza dei Toxik, non sostituirono un buono con un altro buono: finalmente trovarono quello giusto, Yves Lettanie, il quale, sino a poc’anzi, si era dato un tono col nomignolo Steve Grey negli Iron Grey, e, sciolti questi ultimi, con grande ostinatezza formò la Steve Grey band per vederla affondare un attimo più tardi. Un cocciuto.

I Target sono un gruppo del quale sento onestamente la mancanza, perché chiunque suoni thrash metal nel 2023 o lo fa in maniera oltranzista, riecheggiando il blackened thrash di Bathory e affini, o lo fa in maniera sgradevolmente plasticosa, o ancora lo fa accennando all’hardcore punk. Difficilmente si è andati incontro a composizioni elaborate se non addirittura degne del rievocare il termine progressive, il che è una cosa estremamente fuori luogo ma rende tuttavia l’idea. Il thrash metal tecnico è stato incastonato nel periodo che va dal 1987 al 1990 e oltre non è potuto andare, se non per mezzo di pochi, audaci e ostinati autori come appunto i Coroner. 

Inoltre i Target sono sovente stati associati ai Mekong Delta. Nonostante che la loro proposta fosse infinitamente più esemplificata e udibile, c’è una ragione per cui questo accadde. Mission Executed e il suo bellissimo successore furono entrambi prodotti da Ralf Hubert, il celebre bassista tedesco militante o meglio sovrano nelle file – appunto – dei Mekong Delta. Se questi abbia avuto un’impronta, un’influenza, nel dirigere i Target verso il techno-thrash nel breve volgere di un anno è un mistero, ma possiamo tranquillamente fare le nostre deduzioni. Ralf Hubert, in occasione delle registrazioni di Master Project Genesis, rafforzò perfino lo squadrone tecnico portando con sé il fido Jorg Stegert, anch’egli tedesco e già ingegnere del suono su The Music of Erich Zann e The Principle of Doubt negli stessi anni, oltre ad aver collaborato con Living Death e Protector.

L’album è uscito nel novembre del 1988, nell’indifferenza generale di una scena fin troppo sovraffollata, e ha avuto una recente ristampa nel 2017. I restanti quattro membri della formazione sono rimasti invariati rispetto al debutto, con Vogelaar e Van Aerde alle chitarre, e la sezione ritmica composta da Susant e Braems. Christ Braems era il batterista dei Target, reclutato da un gruppo il cui nome era bellissimo: Fist Attack.

L’ombra di Ralf Hubert risiede dappertutto. Anche nella casa discografica, la Aaarrg Records, esattamente di sua proprietà. Una piccola nota su quest’ultima: nello stesso periodo, per l’esattezza nel 1989, produsse i Calhoun Conquer, svizzeri e dediti ad un techno-thrash acerbo eppur interessantissimo. Un solo album e sparirono per lo stesso motivo per cui sparirono tutti gli altri. Ralf Hubert è anche nell’attenzione riservata al basso, uno strumento al quale fu riservata una certa e non casuale attenzione. Johan Susant, l’uomo al quattro corde, era anche il più esperto in formazione con quattro o cinque band all’attivo. E non deluse affatto.

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Ultimate Unity è il brano in cui si concesse i maggiori spazi, un attimo dopo la conclusione di The Coming of Chaos segnata dagli strazianti acuti alla Watchtower di Yves Lettanie. Quest’ultimo era al microfono un autentico camaleonte, capace di passare da tonalità medio-alte ad alcuni estroversi tentativi di emulazione del celebrato Geddy Lee dei Rush.

Anche i pezzi più rapidi, come Digital Regency, risentirono di una cura degli arrangiamenti pressoché maniacale, un fattore atipico per un gruppo alla sua seconda pubblicazione e che mi fa ancor più rimpiangere l’assenza dei Target dalla scena nelle annate seguenti. Che, a dirla tutta, nei confronti del techno-thrash non concessero gran visibilità. Il dialogo fra le due chitarre, nella fattispecie, era impressionante e non mostrava punti di cedimento: l’intelligenza del gruppo belga stava anche nell’optare per composizioni dinamiche e tecniche senza mai finire col perdersi. In nessun caso il minutaggio dei pezzi era oltre i sei minuti di durata.

Belle anche March of the Machines e l’omonima – appunto, di sei minuti precisi – tenuta in fondo alla scaletta; belle tutte a dire il vero, in uno degli album thrash metal più sottovalutati e ingiustamente ignorati di tutti gli anni Ottanta. E qui la classica domanda: ma se questi qua fossero davvero nati in Germania avrebbero fatto la fine dei Deathrow o avrebbero ottenuto qualcosina in più? Lunga vita al thrash metal belga e lunga vita ai Target, sottovalutati, ignorati, proprio come Charles De Ketelaere. (Marco Belardi)

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