Avere vent’anni: DEAFENING SILENCE – Edge of Life

Diciamo pure che il periodo della mia vita corrispondente a vent’anni fa non lo riporto alla mente granché volentieri. Il perché è presto detto senza dilungarmi troppo: sul finire del marzo 2003 ero a cena nell’ennesimo ristorante stellato nel quale stavo offrendo l’ennesima sontuosa e dispendiosa serata all’unica ragazza con la quale pensavo avrei commesso la sciocchezza di sposarmi in vita mia, quando la leggiadra fanciulla, amabilmente conversando con me, mi disse che lei non aveva alcuna intenzione di sposarmi, che io ero troppo innamorato, lei era già fidanzata con un altro e il tempo che passava con me lo faceva perché io “la facevo sentire importante”, “la divertivo” e soprattutto (aggiungo io) assecondavo tutti i suoi capricci, visto che il mio lavoro mi consentiva un reddito abbastanza superiore alla media. Il tutto con un tono indifferente che non si usa neanche per leggere la lista della spesa al supermercato. Quello non me lo dimenticherò sinché vivo.

Dopo quella sera non la vidi mai più, e va da sé che saltai in aria, andai in frantumi come succede ai bicchieri di cristallo sottoposti ad ultrasuoni. Ero innamorato perso, scioccamente innamorato perso. A posteriori, dopo tanto tempo, costretto a ripensare a quel periodo mi dico che sono stato fortunato, il matrimonio non avrebbe potuto funzionare, i nostri caratteri troppo diversi: io sono un orso, introverso, non particolarmente socievole; lei una con l’argento vivo addosso, espansiva, allegra stile Barbie girl, una che quando entravamo in qualche locale nel giro di dieci minuti aveva già fatto amicizia con tutti i clienti e chiacchierato con almeno una metà di essi. Non mi dava fastidio, era fatta così e io, ripeto, ero scioccamente innamorato perso. Oggi credo che sarei infelicemente divorziato, meno male che il dente m’è stato eradicato subito anche se senza anestesia.

I primi tre mesi post-trauma sono stati i più difficili, almeno fino a quando un mio carissimo amico non mi ha attaccato al muro dandomi due sberle urlandomi in faccia che non c’è nulla per cui valga la pena morire, meno che mai una donna. Lì aprii gli occhi e seppur a fatica riuscii a superare quei momenti decisamente depressive black metal. In quel mentre vari amici e colleghi di lavoro, vedendo che avevo il morale sotto le scarpe, facevano di tutto per distrarmi e tenermi lontano dai brutti pensieri. Mi invitavano ad ogni sorta di evento, di concerto, semplici serate birra-e-salsiccia, cose così. Li ringrazio ancora oggi, si vede che io alla fin fine sono uno che si fa volere bene (specialmente nei luoghi di lavoro).

È in una di quelle occasioni, a qualche oscuro concertino rock/metal (nessuno dei miei amici “normali” era o è mai stato in grado di sopportare il black metal, per me pane quotidiano) in qualche fumoso pub, che al banchetto del merchandise comprai il disco d’esordio dei francesi Deafening Silence. Forse lo presi perché avevo bevuto un paio di birre di troppo, anzi: visto il periodo, ben più di un paio di birre di troppo. Scambiando due parole col banchettaro forse gli avevo parlato del fatto che avevo iniziato ad ascoltare heavy metal nel 1984, Iron Maiden, Metallica, i soliti noti no? Ed anche Helloween, Accept, un po’ di speed metal tedesco. Allora questo tizio mi mette in mano Edge of Life e mi dice: se ti piacciono i primi Helloween questo te lo devi comprare per forza. Tra l’altro per una sciocchezza, credo cinque euro ma forse meno ancora, chi se lo ricorda e poi come detto non ero lucidissimo. Disco che peraltro ha una copertina di una bruttezza siderale, anche riprendendolo adesso fa proprio ribrezzo, non ha scusanti.

Fatto sta che gli compro il CD, poi un po’ per via della depressione un po’ perché la copertina tutto invoglia a fare tranne che metterlo nello stereo, lo accantono in un angolo e smetto di pensarci. Quando lo faccio, quasi per caso qualche tempo dopo, giusto per avere la certezza che avevo sprecato i miei soldi, arriva il fulmine a ciel sereno. Edge of Life non è soltanto ispirato alla musica dei primi Helloween, periodo EP omonimo e Walls of Jericho: è assolutamente identico, è come se il gruppo tedesco fosse rinsavito dopo la sbornia di successo avuta con i due Keeper of the Seven Keys e si fosse messo a risuonare il caro vecchio speed metal che li ha proiettati verso il successo anziché quelle maialate stile Pink Bubbles Go Ape o Chamaleon. C’è tutto, ma proprio tutto: i riff grintosi, poderosi, suonati a velocità sostenuta, assecondati dalla sezione ritmica che ne amplifica ulteriormente la potenza, le melodie, i cambi di tempo, i bridge ultramelodici a chitarre armonizzate che degli Helloween divennero un marchio di fabbrica, gli assoli, tutto. Ma proprio tutto. I dieci pezzi sono tutti dei piccoli e sostanzialmente ignoti capolavori, l’unica cosa che stona un po’ è il cantante che cerca di fare troppo il verso a Kiske senza avere la potenza di canto dello stesso quando era al massimo della forma, ma vi assicuro che la sola triade iniziale al fulmicotone (per fare contento Belardi) Deafening Silence/The Black Swansong/Heavenly Dream vale da sola l’acquisto del disco, anche a distanza di tanti anni, se siete – o siete stati – fan del gruppo tedesco pre-Keeper. Poi scoprirete che anche gli altri pezzi sono su quello stesso livello.

Ora, possiamo dilungarci in dissertazioni su quanto abbia senso o meno un disco di un gruppo che riproduce pari pari musica già inventata da altri quasi vent’anni prima, e di sicuro tutto si può dire tranne che Edge of Life sia anche minimamente originale o personale, ma quando la qualità dei pezzi è questa io ribadisco che mi stanno benissimo anche i cloni. Quando è arrivata dai grandi capi la lista dei ventennali da recensire e ho visto il titolo del disco mi è immediatamente tornata in mente la copertina e me lo sono preso in carico. Non è uno di quei dischi che di solito mi vedete trattare in queste pagine, indubbiamente. A maggior ragione dovreste allora credermi se vi dico che Edge of Life dei Deafening Silence è una bomba! Ma del resto nemmeno io ho iniziato ad ascoltare metal direttamente con i Cannibal Corpse: una certa quantità di gavetta passando attraverso cose più morbide l’ho fatta anch’io. Ai dischi della mia infanzia metal ci sono tuttora affezionato, specie quando sono in mood nostalgico mi capita ancora di rimetterli a girare sul piatto.

Quello che non mi ricordavo è perché cazzo mai io fossi entrato in possesso di quel disco, visto che nel 2003 compravo principalmente black metal e brutal death, ma poi dagli oscuri recessi della memoria è riaffiorato un passato che anche dopo tanto tempo ha il gusto amarissimo della sconfitta. Beh, neppure questo attenua il sorprendente valore di Edge of Life. Lo custodisco come monito, così che quando ne leggo anche solo il titolo sulla costa del CD mi rammenti che certi errori marchiano a fuoco ed è meglio evitare di ricaderci. (Griffar)

7 commenti

  • Mò non è che voglio spaccare il capello in quattro, caro Griffar. Però, santa madonna. Tu volevi sposare sta tizia e ok. Sono d’accordo sul fatto che ti sia andata di lusso. Mi sovviene comunque una considerazione e scusami se mi permetto. D’altro canto sei tu che ti sei esposto.
    Due ipotesi, la prima: erano anni che la frequentavi e non ti eri accorto che questa saltava da un manicotto all’altro, diciamo?
    La seconda: hai sparato sta proposta sull”onda dell’entusiasmo, per cui non la conoscevi manco di striscio.
    In entrambi i casi non ne esci proprio con un’immagine da scaltro tombeur de femmes.

    O no?

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    • Normale che io non faccia la figura del tombeur the femmes perché non lo sono mai stato.
      Per soddisfare la tua curiosità, ci frequentavamo da un annetto preciso.
      Nel corso della mia ormai non cortissima vita ho imparato una cosa: le donne sono geneticamente infingarde. Tu non ti accorgerai mai che una donna ti tradisce a meno che non sia lei a volertelo far sapere perché ha deciso che è ora di tagliare il ramo secco. Mai, ricordatelo. Non c’è una sola donna su questa terra che non sia una provetta e patentata simulatrice, noi uomini ci cadiamo con tutte le scarpe. È per questo che se sei tu a cornificarle ti sgamano in meno di un minuto.

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  • L’etimo di tradire rimanda all’atto di consegnare la bandiera al nemico. La vicenda quindi non è duale, bensì implica la presenza di un terzo elemento (io, il nemico, la bandiera). Non sembri una sfumatura da nulla perché le implicazioni nella dinamica simbolica della relazione sono fondamentali. Il terzo non è impersonificato in colui o colei che si presta all’atto del consumare escludendo il “tradito”. Il terzo è la regola del gioco della relazione, quale contratto implicito dello stare insieme quale coppia. Non si tradisce una persona in questo caso, si tradisce la regola del gioco che implica l’attesa della fedeltà. Attesa che può diventare formalizzata nel contratto matrimoniale che vincola alla fedeltà stessa, per esempio.
    Sentirsi “traditi” in una relazione d’amore ha una conseguenza nefasta (prendo in prestito l’aggettivo da un recente post di Carrozzi, grazie Cesare). La vittimizzazione quale ipostatizzazione del vissuto. Diceva sempre uno dei miei maestri:
    – …se io dico: Fabrizio mi sta guardando male è un paio di maniche. Se invece asserisco: mi sembra che Fabrizio mi stia guardando male è ancora possibile salvarsi.
    Da cosa? Dal trasformare un vissuto in un fatto. Quando trasformiamo un vissuto in un fatto non c’è più un cazzo da fare. Si entra nella dimensione prescrittiva delle emozioni: vedasi l’esempio della paranoia. O della roba tipo: ti nasce un figlio, devi essere felice cazzo. Non sei felice? Allora ti viene una depressione post partum. È la spinta conformista del contesto sociale. Ma come? Sei madre, non vuoi gioire (sti cazzi se sei un fagocero sbrindellato e non dormi un cazzo, devi essere feliceeeee, ehehehehehe)?
    Per cui, caro Griffar. Maschile, femminile, le donne sveglie, gli uomini mammalucchi. Cazzate. La cosa più importante che puoi fare è assumerti una quota di responsabilità rispetto a quel che è successo. La prossima volta prenditi più tempo prima di agire impulsivamente con una proposta del genere.

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    • Non ci sarà mai più una prossima volta… strano tu non l’abbia ancora capito.

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      • Ma che cazzo stai a dì? Ripigliati e smettila di vivere nell’idea di aver risolto la tua identità. Si ama almeno tre volte nella vita. E se non lo hai ancora fatto c’è tempo. E se non ci riesci è solo perché hai scelto di non lasciarti più andare.

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  • …e comunque, tanta roba ‘sti Deafening Silence. Credo -e mal me ne incolga- di averli all’epoca scartati per la copertina atroce. Gravissimo errore che correggo a vent’anni di distanza!

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