Il noise italiano è tornato a graffiare: THE TURIN HORSE – Unsavory Impurities

Sarebbe da quando ho iniziato a muovere i primi passi in Metal Skunk, da stagista, che starei cercando un’occasione per parlarvi di un mio feticcio, Lowest Shared Descent dei Dead Elephant. Un gruppo pazzesco. Non so perché, il successivo Thanatology non avrebbe attecchito altrettanto con me. Oppure sì, lo so. Mica era brutto, anzi. Però era diverso. Prodotto meglio, più internazionale, più universalmente post, ma molto meno urticante. Comunque erano gli anni di una piccola (non) scena che si sviluppava principalmente tra Piemonte (gli elefanti, i Cani Sciorrì, i Fuh, i Ruggine) e Veneto (Lucertolas, Putiferio). Una scena italiana di noise, derivato da Unsane e Jesus Lizard, con peculiarità proprie, imbastardito con innesti math-core e più di un’altra ibridazione. Il Veneto poi aveva più contatti del Piemonte col prima (One Dimensional Man) e con il dopo (primo Teatro degli Orrori, il resto dimentichiamolo). Nel frattempo anche le Marche davano il loro contributo, tra Jesi e Pesaro, con Lleroy, Sedia. O i pesantissimi Gerda, molto più post-hardcore (roba Hydrahead). Produzioni erano Donna Bavosa, Wallace, RobotRadio. Lowest Shared Descent ha aperto una voragine in quella piccola stagione e fu un abisso nero, cupissimo. Ritrovare ora Enrico Tauraso (voce, chitarra, campionamenti) mi ha fornito l’occasione che aspettavo. Di più: c’è un nuovo gruppo (The Turin Horse) e c’è nuovo materiale (Unsavory Impurities) con cui vale la pena confrontarsi ora, senza troppa nostalgia di quanto accadeva quindici anni fa. Chiusa la storia Dead Elephant, Tauraso è ora in combutta con Alain Lapaglia, batteria, in passato transitato nei lodigiani MoRkObOt. Mi ero perso l’EP senza titolo dei due, nel 2018. Recupero ora. Era una bomba. Ma soprattutto mi concentro sull’album, inquietante già dalla copertina. Con quei colori carichi che per un secondo penseresti si tratti di merda pop. Poi no, vedi meglio. Disturba.
Ma Unsavory Impurities disturba e fa male pure col contenuto, però. Assalti frammentati, cartavetrata vocale, ruggine tra le corde. Come nei Dead Elephant la più forte influenza sono Unsane (coverizzati nell’EP del ’18). Ed Oxbow. E altra sperimentazione ancora, più dilatata, più rarefatta. Quando il frastuono di esplosioni, collassi e crolli lascia spazio a certi silenzi morti e onde inquiete. O a derive ancora meno codificabili. Non vive di singoli brani un disco del genere, quindi non ne estraiamo nemmeno qualche titolo. Certo che la prima parte è quella convulsa, quella delle bastonate, delle sberle. La seconda quella che si sfilaccia e si perde (anzi: si vuole perdere), sperimenta disagio, paesaggi incomprensibili, devastati, deprimenti. Praticamente tutte confermate le componenti della precedente esperienza di Tauraso. Pure il suono, low fi e DIY. Chitarre e voce sono abrasive ai limiti della cacofonia. La batteria poi ci mette il suo a non lasciare punti di riferimento (quasi paradossale, questo). Poi ci sono appunto i campionamenti che fanno il resto. Sono quello che giustifica un altro riferimento, più sfuggente, ma richiamato da loro stessi: la dimensione cosmica degli Ash Ra Tempel. La formula a due regge bene e lo spazio tra i due mondi, le chitarre farraginose e le percussioni selvagge, quando non viene riempito da campionamenti, fa parte del linguaggio scelto. Da ex aspirante bassista, quattro corde a scavare la terra umida in certi punti ce le avrei messe, ma Unsavory Impurities regge lo stesso. Pure con una produzione per cui ogni nozione di pulizia suonerebbe come un insulto (e a me sta assolutamente bene così, anzi). Mi viene in mente uno dei rimpianti che ho della mia carriera da musicista zoppicante. Risposi ad un annuncio e mi trovai in una sala prove improvvisata in un capanno di campagna ad Anzio. I due erano più grandi di me. Dietro la batteria campeggiava una cartuccera credo del secondo conflitto mondiale. La chitarra era un macello, un maelstrom. La musica era un po’ questa qui. Sapeva anche tanto di Melvins. I ’90 senza i Melvins non sarebbero esistiti mica. Non ci credetti, mi sentii insicuro sulle mie abilità e scelsi di non togliere nulla allo studio, manco i denari per un ampli decente per le prove, almeno. Che cazzata. Comunque, per me, si tratta di un’ottima notizia, un disco del genere, intendo. Assieme agli Hate&Merda l’anno scorso, il noise italiano scalcia e graffia ancora. Altro che. Occhio che non riparta una piccola scena pure stavolta. Sarebbero dolori. Speriamo. (Lorenzo Centini)
Cosa m’hai tirato fuori…,quanti tour da roadie che ho fatto per i MoRkObOt
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In realtà i Lleroy ci sono ancora ed il loro ultimo “Nodi” spaccatutto come anche “Dissipatio HC” di qualche anno prima. Molto interessanti anche i NETN, i Carmona Retusa (si decidessero a fare il secondo, il primo era meraviglioso), gli stessi Cani Sciorri che credo siano in procinto di far uscire un nuovo disco un po’ al limite anche i Flying Disk o i Muschio da Verbania. La scena è bella attiva. Evviva la scena.
PS: pensavo di essere l’unico a ricordarsi dei Dead Elephant!
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Eh, raga’, allora ero distratto io. Ora però riprendo a monitorare tutto (grazie per i suggerimenti).
P.S. effettivamente sui Lleroy mi aveva anche allertato Emilio dei Tenebra.
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I Muschio da Verbania…. grandi! Ho ancora la maglietta del primo gruppo del batterista
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