Dime can ma no talian: ADVERSOR – Portrait of a Wasteland

Quel forever pronunciato all’introduzione di Throwback to Darkness non poteva che rievocare bei ricordi. E infatti ho subito ripensato all’inizio di Dead Skin Mask, soltanto che gli Adversor con gli Slayer c’entrano davvero poco. Throwback to Darkness è un brano lineare e veloce e questa semplicità di fondo è un elemento che può mandarti fuori strada.
Degli Adversor conoscevo il precedente The End of Mankind, mentre il debutto del 2016 neanche l’avevo notato. Il menù della settimana ha dunque previsto il recupero del medesimo, Rise to Survive, un po’ acerbo ma tutto sommato godibile, seguito dal riascolto di The End of Mankind e dall’approccio massivo al nuovo di pacca Portrait of a Wasteland. E poi il Carrozzi mi dice che ho troppo tempo libero.
Entangled parte con un’atmosfera da cinema horror che, a dire il vero, certi Slayer dei mid-tempo anni Novanta li richiama eccome, ma il punto d’incontro più ovvio con la musica che amiamo è con i Kreator, e il merito non è soltanto del cantante Marco Cardi, in arte Dado.
Un breve cenno biografico: i veneti Adversor sono stati formati dal suddetto cantante assieme al fratello e batterista Jacopo; a quanto pare, in precedenza entrambi militavano in una formazione denominata H.O.S. (acronimo per Harvester of Sorrow, precisamente come quella di …and Justice for All). Una volta cambiato nome in Adversor, i dischi si sono susseguiti a velocità più che sostenuta.
Dado nel debutto cantava in modo particolarmente sguaiato e fuori controllo; l’esperienza e l’avanzare dell’età hanno fatto sì che questo suo timbro si sviluppasse, scoprisse frequenze meno alte ed imparasse a servire maggiormente le canzoni. Risente ancora un po’ di Mille Petrozza ma in percentuale minore; si è semmai adattato a certo screaming in voga in Scandinavia nel periodo in cui emersero Kalmah, Ensiferum, Norther e tutti gli altri militanti del gran torneo di briscola dei Children of Bodom. Alcune cadenze richiamano persino l’espressività e l’estro del Nodtveidt maturo di Reinkaos; in Seven Years è persino lo stile musicale a farlo.
Per il resto Portrait of a Wasteland è un album molto vario che spartisce alcuni interessanti punti d’incontro coi Kreator. Ma, prima che usciate a prendere la ringhiera del terrazzo a uccellate al grido di Riot of Violence, no, non è a quei Kreator che mi riferisco. Se sentite Under Siege penserete addirittura ai Sodom, a dirla tutta. Nel disco è presente un singolo chiamato Outcast e quel singolo, unito ad altri sporadici brani come Purifying Hate, prende i Kreator anni Novanta, toglie quel vago sentore industrial e quel vago sentore gothic lolitas e mantiene in vetrina i riff post-thrash che sempre più sarebbero andati a nascondersi con l’incedere del tempo. Certe cose presenti qua sopra sono un ipotetico punto di incontro fra Cause for Conflict, se fosse stato meno violento e viscerale, e Outcast, se quest’ultimo avesse avuto voglia d’essere un disco dei Kreator a tutti gli effetti. E sinceramente il giochino funziona meglio di come suona detto o messo per iscritto. L’impressione che ho è che gli Adversor stiano pian piano scoprendo che rallentare i tempi gli riesce bene, dà loro modo di esplorare un po’ meglio le melodie e lascia maggior respiro alle composizioni.
Il problema è che di Outcast ce ne è una (e fra questa e il moniker Harvester of Sorrow ci sono abbastanza presupposti per buttare giù a provocazioni il grattacielo della SIAE come nel finale di Fight Club). Gli Adversor, preso atto che sanno scrivere un pezzo così memorizzabile e per nulla autosputtanante, dovrebbero meditare sul mantenimento di codesta direzione. Non è facile – nell’ambito del thrash metal – scrivere un ritornello di facile presa che non offra poco più che la banale ripetizione del titolo. Bombenhagel! Bombenhagel! Bombenhagel! Bombenhagel! E se a loro è uscita fuori questa cosa, non è certamente avvenuto per caso.
Per il resto abbiamo buona produzione (su Time to Kill Records, la stessa in cui militano i Violentor) specie per quel che riguarda voce e chitarre, una batteria migliorabile nel missaggio e nei fill e un nome, quello degli Adversor, che già ora sono curioso di sapere dove andrà a parare nell’immediato futuro. Buon disco, avanti così e nel prossimo dovete assolutamente intitolarne una Bombenhagel! (Marco Belardi)
Sarebbe ora di riscrivere una considerazione “cold case” su Reinkaos. L’ho già scritto e lo ribadisco: è un signor disco.
Ho un altro disco feticcio che adoro da un quarto di secolo pressoché da solo: Admiron Black dei Gehenna. Secondo me ti piacerebbe molto, Belardi.
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