Avere vent’anni: CATHEDRAL – The VIIth Coming

Il mio parere sul settimo album dei Cathedral è sempre stato traballante. Lì per lì gridai al miracolo, una buffa contraddizione dato che fui un fervente sostenitore del loro ritorno al doom più integralista, avvenuto un solo anno prima con Endtyme. Per anni e anni, colpevolmente, non riascoltai più il titolo del 2002, ritenendolo frizzante in apertura e un po’ poco coeso in seguito.
The VIIth Coming si presentò col materiale più vario che la band di Lee Dorrian potesse confezionare, una sorta di ammiccamento (almeno negli intenti) all’epopea vincente di Ethereal Mirror e Carnival Bizarre, ossia a due lavori che, pur non abbandonando il doom di Forest of Equilibrium, lo relegavano a un secondo piano, a un pezzo preciso in scaletta e a qualche sorprendente break centrale. Anche qui l’heavy rock ad ampio respiro mantenne piena prevalenza, specie nel singolo per eccellenza Resisting the Ghost, il pezzone che certi album mediani dei Cathedral – come Supernatural Birth Machine – non riuscirono a mettere a registro.
Sia chiaro: se di Hopkins ce n’è una (Ride e Utopian Blaster le altre due in grado di tener botta), che la riteniate la loro gemma o la loro rovina, ogni album coi controfiocchi merita di culminare in un picco proporzionato al suo effettivo valore. Qui fu Resisting the Ghost quella che sarebbe istantaneamente entrata in testa e, per quanto The VIIth Coming neppure ambisse a sfiorare i picchi raggiunti nella prima metà dei Novanta, scrivere un pezzo del genere fu possibile mettendo in disparte la prorompente psichedelia tipica del periodo incriminato. Insistendo su quella rotta, una Resisting the Ghost non avrebbe mai visto la luce. Semplicissima anche The Empty Mirror, forse un po’ troppo, nonostante l’incedere lineare e ruffiano lasciasse presagire un altro titolone indimenticabile: nella sua fattispecie il calo arrivava nel ritornello, mentre il suo punto di forza stava nell’ennesima svolta doom e nell’assolo di Gary Jennings; il resto della scaletta offriva una collezione di brani totalmente differenti l’uno dall’altro o quasi. Riassaporare quei pezzi a distanza di vent’anni mi ha permesso perlomeno di chiarire la mia incerta posizione nei riguardi di The VIIth Coming.
Le mie preferite, oltre le prime tre (ottime anche Phoenix Rising e Skullflower, con un passaggio doom da capogiro), sono sempre state le più oscure. Su tutte Congregation of Sorcerers, con un andazzo alla In the Shadow of the Horns, o, se preferite, un (per nulla velato) richiamare i Celtic Frost che si ripresenterà su più fronti lungo tutto l’album. O meglio, lungo tutta la loro carriera.
Bella anche Iconoclast, dal riffone blues pesantissimo e saturo. A ergersi sulle altre per propositività sono Halo of Fire, in fondo alla scaletta, con la sua ossessiva cantilena e un Leo Smee in primissimo piano, e Black Robed Avengers, la quale, al centro, finisce per citare nientemeno che i Pantera di metà Novanta con gli armonici e gli arrangiamenti di Gary Jennings. Forse il momento più atipico e coraggioso dell’intero disco.
Non il mio preferito della band, sia chiaro. I primi tre restano inarrivabili, seguiti da Endtyme; dopodiché, ebbero luogo una sequela di buoni album alternati a qualche lieve calo di prestazione. The VIIth Coming molto genuinamente mi tenne impegnato a lungo all’uscita; oggi, vent’anni più tardi, l’ho potuto riabbracciare con piacere galvanizzandomi sul veloce heavy rock di Nocturnal Fist così come sull’onirica Aphrodite’s Winter e su tutto quanto il resto. Pochi filler, pochi sbadigli, un album dei Cathedral che forse avrebbe meritato un maggiore risalto. Quanto rimpiango la loro assenza, e quanti pochi dubbi avrei oggi nell’affermare in prima battuta così come in seconda e in terza che nulla possiamo dire a uscite di tale qualità, piglio, e caratura. (Marco Belardi)
Non lo ascolto da anni, però ricordo che seppur discontinuo mi era piaciuto abbastanza. Mi pare ci fosse anche un’ospitata di Nick Holmes su un pezzo
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C’entra come un featuring di Glen Benton su un brano degli Stryper, ma volevo ringraziare il buon Belardi per avermi (altrove, ovviamente) fatto scoprire il catalogo di ristampe Dissonance productions.
Ho comprato un sacco di roba vecchia thrash metal (che prima stava a prezzi proibitivi) e sto godendo come un maiale. Atrophy, Mortale Sin, Xentrix, Whiplash, etc.
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Mi interessavano all’inizio, ho i primi 3, poi ho lasciato perdere, anche se il buon Dorrian ha sempre delle frecce al suo arco. Li ho visti a Monaco nei ’90 al Gods of Grind, con Confessor, Carcass ed Entombed, ma io ero lì per gli headliners. Dal vivo, comunque, mi hanno fatto un’ottima impressione ed anche i crucchi attorno a me erano scatenati durante il set.
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