Oltre i Lunar Aurora: MORTUUS INFRADAEMONI – Inmortuos Sum

Quando a marzo di quest’anno di punto in bianco la Iron Bonehead fece circolare la notizia che i Mortuus Infradaemoni stavano per uscire con un nuovo disco, a distanza di ben tredici anni dal secondo e fino ad oggi ultimo loro episodio discografico Imis Avernis, io mi sbilanciai nella chat massonica ultrasegreta della redazione scrivendo “sento odore di disco dell’anno”. Ordunque, è Immortuos Sum il disco dell’anno? No, per ora no; potrebbe anche diventarlo però. Facciamo un passo alla volta e capirete perché sto dicendo questo.

Non tutti sanno che i Mortuus Infradaemoni sono in pratica un’emanazione dei mai dimenticati e mai sufficientemente rimpianti Lunar Aurora, enorme e storico gruppo tedesco cui forse non è mai stato riconosciuto l’effettivo merito di essere innovatori del black metal e non meri (eccellenti) replicanti di cose inventate da altri. Il black metal dei Lunar Aurora era personalissimo e tale rimane anche dopo tutti questi anni dallo scioglimento (tolta la parentesi Hoagascht, che comunque conteneva pezzi scritti molto tempo prima). È passato quindi molto tempo prima che qualcuno si ispirasse palesemente alla loro musica (gli Aara) ma subito dopo il loro scioglimento, a cadavere ancora caldo, il primo chitarrista della band Nathaniel (quello che ha suonato dagli albori fino al capolavoro inarrivabile Seelenfeuer) e il batterista Profanatitas (che ha suonato con i Lunar Aurora nella fase centrale, sue le pelli nel pezzo mastodontico A Haudiga Fluag, 22 minuti del miglior black metal possibile e immaginabile) anziché disperarsi e cospargersi il capo di cenere formarono i Mortuus Infradaemoni con il chiaro intento di tenere in vita quel modo di suonare black metal, tant’è vero che furono da tutti considerati (me compreso) la reincarnazione dei Lunar Aurora, con una certa base di certezza che prima o poi Aaran, Sindar e Whyrhd avrebbero finito per partecipare al progetto e riportare in vita la band storica, sebbene sotto altro nome. Il tempo ci ha detto che tutte queste elucubrazioni erano solo fantasie. Di più: Aaran ha abbandonato la scena musicale, Whyrhd ha da poco cominciato a collaborare con i greci Nocternity dopo un periodo di pausa ultradecennale, Sindar pure non fa più nulla (ma ha suonato con i Mortuus Infradaemoni per qualche tempo, l’unico che ci ha dato una speranza).

Ciò premesso i Mortuus Infradaemoni suonavano precisi ai Lunar Aurora, forse un pelo più violenti ancora, e nell’anno del signore 2022 continuano a farlo, magari con qualche differenza in più ma il marchio di fabbrica è quello e da lì non si scappa; inoltre tutti i pezzi risalgono ad un passato che si spinge ai limiti del remoto – la Iron Bonehead precisa che le composizioni risalgono al periodo 2009-2016 e la registrazione del disco a circa quattro anni fa. Hanno scelto dei suoni molto retrò, che molto spesso richiamano alla mente Pure Holocaust degli Immortal, disco epocale che è tale per via di quel suono tempestoso ed estenuante delle chitarre molto più simili a una bufera di vento che a un assalto heavy metal; la batteria nelle parti più tirate c’è e non c’è proprio come nei dischi dei loro maestri e compagni di ventura; infine, tipico dei Lunar Aurora era lo sdoppiarsi di voci con versi demoniaci provenienti da profondità infernali tra le più atroci, e pure i Mortuus Infradaemoni ne fanno largo uso nei punti più strategici.

Tolta la breve intro Insepultus che sembra uscita da un album di death metal americano era-1990 circa (ce la vedrei meglio ad aprire un album come Cause of Death piuttosto che un assalto all’arma bianca black metal come Inmortuos Sum), il resto del disco si articola in sette brani, tre dei quali assai lunghi da dodici, undici e quattordici minuti collocati rispettivamente in apertura, al centro ed in chiusura dell’opera; gli altri quattro pezzi hanno un minutaggio più standard  – tra i cinque e i sette minuti, giù di lì – e sono i più violenti del lotto laddove i pezzi più lunghi ed articolati sono compositivamente molto più complessi, variegati nella struttura e nelle partiture, alla perenne ricerca di soluzioni un po’ differenti da quelle adottate nel corso di tutta la loro carriera dai capostipiti Lunar Aurora. Si affacciano allora vaghi ricordi di death metal cupo e sofferente e fanno capolino anche reminiscenze di black metal nordico, più finlandese che norvegese, più Sargeist che Horna. Penso che gran parte di questi richiami mentali derivino dai suoni delle chitarre che come detto prima sono turbinanti: se dovessi pensare al frastuono che fa un tornado di neve in vetta ad un Ottomila penso che mi verrebbero in testa i suoni incisi in questo album.

Perché ritengo che difficilmente sarà il disco dell’anno ma che potrebbe anche diventarlo? Perché sale a poco a poco man mano che si susseguono gli ascolti, è tutto fuorché un disco banale, ripetitivo o scontato, nonostante duri qualcosa più di un’ora, ma ha anche un songwriting estremamente complicato e contorto che rende tutto il lavoro non immediato, e se si commette l’errore di ascoltarlo in modo disattento e superficiale se ne perde gran parte dell’estro e dell’efficacia e si finisce fatalmente per trascurarlo. Il che sarebbe un peccato: io ci ho messo due mesi ad “entrarci dentro” come merita e mi sento di consigliarlo come ottimo disco di black metal importante e sofisticato, ma nei tempi d’oggi, nei quali tutto è usa-e-getta e un disco vecchio di due mesi è considerato già datato, chi avrà voglia di fare altrettanto? Saggio chi ne ha l’intenzione, vorrebbe dire che c’è ancora speranza che la superficialità non avrà il sopravvento. Menzione speciale per Ossuarium of the Black Earth, il pezzo da undici minuti che è probabilmente il più orecchiabile tra tutti nonostante non sia certo all’acqua di rose. E anche la lunghissima conclusiva title-track, oscura, occulta e malefica come solo i Lunar Aurora avevano saputo fare nel loro glorioso passato, il pezzo che più li riporta in vita anche se non è un loro brano e quello che, ascoltato al buio, mette più angoscia. (Griffar)

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