L’inglese che fa le cover black metal di Spice Girls e Britney Spears

Orama il black metal è del tutto sdoganato ed è diventato un genere come tutti gli altri. Tutti gli eccessi teorici e pratici che ne hanno accompagnato la storia sono ormai definitivamente abbandonati in polverosi armadi come fossero cose passate destinate al disuso. Un’ulteriore dimostrazione di tutto ciò è la one man band inglese Spider God. Il progetto può essere tranquillamente inquadrato in un black metal melodico, pure piuttosto ortodosso considerata la musica contenuta nei precedenti tre split e tre Ep, prodotti in un breve lasso di tempo (fine 2020 – inizio 2022) e in prevalenza pubblicati per la DeathKvlt records, etichetta underground che fa uscire i dischi in tirature limitatissime che diventano sold-out dieci secondi dopo essere stati immessi sul mercato per poi decuplicare il loro prezzo nel giro di mezz’ora nel mercato parallelo. Nondimeno, questo anonimo figuro ha scelto di esordire sulla lunga distanza suonando versioni black metal di brani pop che più mainstream non si può.
Fa sorridere anche solo leggere la tracklist di Black Renditions, cosa che vi invito a fare quanto prima: su Metal Archives c’è ed è particolareggiata. Non so se questo sia uno scherzo (nel qual caso questo materiale funziona alla grande) oppure se vuole essere qualcosa di serio. Naturalmente i pezzi di Britney Spears, Whitney Houston, Spice Girls e gentaglia di questo calibro vengono stravolti fino all’irriconoscibilità, ma il semplice fatto che qualcuno che comunque ha una carriera classica in un genere che rimane tra i più estremi mai concepiti s’inventi un’operazione di tal fatta significa che ogni barriera è stata rimossa, ogni recinto è crollato ed il black sta avviandosi ad essere musica per molti se non per tutti. Mainstream, appunto. Quando gli Atrocity avevano fatto i due Werk 80 cosa era stato detto? Beh, la storia si ripete, sempre. (Griffar)
Premesso che la proposta non mi piace, mi sembra plastificata e triste. Detto questo il Black metal era estremo nei primi anni ’90, si parla di 30 anni fa, credo che aspettarsi che mantenga lo status di musica più estrema dell’universo per un lasso di tempo così lungo sia quanto meno utopistico, considerando poi che la stessa Norvegia lo ha istituzionalizzato da un pezzo rendendolo quasi un buon motivo per incrementare il turismo… sembra una coseguenza da secondo principio della termodinamica: inevitabile.
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Ci aveva già pensato Laiho, non era black ma il concetto era quello.
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Sono incappato anch’io – felicemente, aggiungo – in questa proposta, prendendola come un divertissement del tizio in questione: quantomeno questo è stato il credito ed il peso che gli ho dato, facendo davvero fatica a figurarmi ‘sto tale pittato di tutto punto che si sgola come un invasato su “I Wanna Dance With Somebody” di Whitney Houston con l’intento di essere preso sul serio. Poi tutto può essere, eh – però, dai. E’ comunque altrettanto vero che mentre lo ascoltavo (e qui mi trovo in disaccordo con Griffar, i pezzi in sè rimangono riconoscibilissimi) non mi sono posto i quesiti che vengono messi in rilievo dall’articolo. E neanche dopo, così come non l’avevo fatto all’epoca per i due Werk 80.
Non escludo che il mio approccio alla materia sia superficiale: di cosa viene ascoltato, da chi, perchè ed in quale ambito o contesto sinceramente non m’è mai importato nulla e non inizierò certo ora, a cinquant’anni e passa, ad interrogarmi sulle possibili implicazioni socio-musicali che una manciata di brani pop rivisitati in chiave black possano avere o significare. Ma capisco che per altri i corollari extra-artistici che hanno sempre accompagnato il metal continuino ad avere importanza e valore e suggeriscano ancora oggi svariate considerazioni, ed è una posizione che rispetto.
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Quando si parla di cover metal di canzoni pop (e non solo) il pensiero va subito ai Ten Masked Men
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