Avere vent’anni: MANILLA ROAD – Atlantis Rising

Barg: Questo fu il disco del grande ritorno dei Manilla Road, che si erano sciolti nei primissimi anni Novanta; l’ultimo album con il loro nome in copertina era The Circus Maximus, del 1992, ma quello era un disco solista di Shelton che cui la casa discografica volle a tutti i costi fare uscire a nome Manilla Road. Quindi l’ultimo loro disco vero e proprio era stato The Courts of Chaos, del 1990, ben undici anni prima di Atlantis Rising.
Io non so sinceramente se sia mai uscito un disco da ritorno sulle scene bello come Atlantis Rising. Può darsi che mi stia dimenticando qualcosa, ma al momento non me ne viene in mente nessuno. Di solito sono sempre piuttosto contrario a questo genere di operazioni, perché come si usa dire la minestra è buona quando è calda, ché fredda fa schifo, ma esistono sempre le eccezioni e questa è forse l’eccezione più fulgida. I Manilla Road che si riformavano proprio nel periodo in cui il metal classico stava tirando commercialmente non era un’ottima premessa, ma onestamente nessuno poteva pensare che sarebbero tornati con un disco così meraviglioso.
Atlantis Rising è IL METAL, o tutto quello che il metal dovrebbe essere, nello spirito, nell’atmosfera, nell’ambientazione, nella passione, nell’approccio, nell’attitudine. I Manilla Road sono uno dei più grandi gruppi di sempre, e siamo d’accordo, ma è chiaro che i 17 o 18 dischi che hanno scritto non sono tutti allo stesso livello. Ecco, Atlantis Rising è uno dei migliori che abbiano scritto. Certo erano tempi diversi rispetto a Crystal Logic o Mystification, ma il contenuto di questo album attiene alla categoria dell’eterno, e il tempo non può scalfirlo. Non saprei cos’altro dire senza cadere nell’ovvietà o nell’autocitazione. Ascoltatelo a ripetizione, fatevelo entrare nelle vene e assimilatelo alla vecchia maniera, perché questo è un capolavoro vero e vi accorgerete presto di non poterne fare più a meno.
Stefano Mazza: Atlantis Rising fu il disco del ritorno dei Manilla Road dopo più di dieci anni, voluto e ideato dal solo Mark Shelton con un gruppo completamente nuovo rispetto al periodo anni 80 e anni 90. È un ritorno deciso, meditato e anche ispirato, che fu agevolato dal crescente interesse che si stava creando verso i Manilla Road e altri mostri sacri dell’heavy epico fra fine anni Novanta e primi Duemila. Atlantis Rising è un disco di buona fattura, presentato con una produzione essenziale, se non sotto tono, che nonostante questo ha un suo valore estetico e si abbina bene allo stile epico e cupo che caratterizza l’album. È gradevole da sentire e forse solo in certi passaggi penalizza alcuni dettagli sonori del lavoro. La composizione è matura, degna di un gruppo del genere, i brani trasmettono tutti energia, nonostante i toni crepuscolari che abbiamo detto. Tecnicamente troviamo anche diversi spunti interessanti, per esempio la voce è suddivisa fra Shelton e Bryan Patrick (che suona anche la batteria) e viene usata in modo vario e aggiornato ai tempi: in almeno due canzoni, Megalodon e Decimation, c’è un growl alla Mike Browning; nella title track e in Resurrection troviamo uno stile simile al Rob Halford più baritonale, poi quando al microfono torna Mark sentiamo il suo caratteristico cantato squillante e nasale. Abbiamo anche qualche momento poco riuscito, come Decimation e l’ultima War of the Gods, che si rivela prolissa e monotona, oppure qualche trovata riccardona, come in March of the Gods e in Siege of Atland, che però hanno una bellissima narrazione, musicalmente parlando. È un disco del quale ai primi ascolti si noterà una certa qualità altalenante, ma che ha un suo prestigio nella composizione, nella potenza e nella profondità del saper esprimere l’epic metal nelle sue accezioni più elevate.