La finestra sul porcile: The Many Saints of Newark

Per tutti quelli che giustamente tremano al sentire la parola “prequel” quando si parla delle loro serie/film preferiti, sgombero subito il campo da equivoci: David Chase non è l’ultimo stronzo arrivato, se anco ci fosse bisogno di dirlo, e il progetto è interamente in mano a lui, ideatore e produttore della serie più bella di tutti i tempi (assieme a The Wire), ovvero I Soprano. Se avesse voluto rimpinguare le casse avrebbe forse continuato con la serie più a lungo, ma gli siamo grati che non lo abbia fatto, lasciandoci in sospeso con quello straniante finale. Avrebbe anche potuto farne degli spin-off, oppure intere serie di prequel o sequel, e invece non lo ha fatto. O meglio, lo ha fatto ora che aveva un progetto e delle idee solide, e a distanza di anni dalla scomparsa del suo titanico attore protagonista, James Gandolfini.
Il protagonista di questo film invece, Richard “Dickie” Moltisanti, è un prototipo di Tony Soprano senza la complessità del gigantesco personaggio della serie, il quale si trova costantemente a camminare su un sottile filo in equilibrio tra ciò che è bene e ciò che è male, in un contesto totalmente criminale, s’intende, e senza alcuna possibilità di redenzione, ma per lo meno con una sorta di parvenza di “legge morale” interiore. Moltisanti è invece un criminale senza speranza alcuna di redimersi che probabilmente non ha mai conosciuto, al contrario di Tony Soprano, la possibilità di scegliere quale tipo di vita condurre. Un “eroe” di quella che viene definita nel mondo criminale come generazione “old school” e a cui si fa riferimento più volte durante la serie principale. Un’ondata criminale probabilmente di seconda generazione, visto che l’azione si svolge negli anni Sessanta, durante la rivolta razziale di Newark del 1967, e che i nostri protagonisti principali sono tutti già sulla trentina.
Il film non mostra come Tony Soprano sia potuto diventare il mostruoso personaggio che tutti conosciamo: non è questo l’intento di David Chase. Infatti The Many Saints of Newark si conclude con un Tony più che mai convinto a non ripercorrere le orme del padre, John “Johnny Boy” Soprano, o della vera figura paterna da lui adorata e poi idealizzata fino all’età adulta, ovvero Moltisanti stesso. Forse l’intento è quello di darci, col senno di poi, un messaggio nerissimo, ovvero che una cultura del genere è difficile, se non impossibile, da scrollarsi di dosso, e che lo era specialmente in quegli anni, in cui gli stereotipi sugli italoamericani erano ancora fortissimi nella società. Tema che tra l’altro era già stato proposto con forza nella quinta stagione col personaggio di Steve Buscemi.
L’ambientazione è bella, la fotografia in stile di quegli anni pure, il cast ottimo e il sottofondo sociale ci mostra come quanto poco certe cose siano cambiate negli anni; eppure il film stenta a decollare perché chiaramente non ha, né può avere, la complessità di una serie che in sei stagioni riusciva ad essere sempre perfetta, senza un minimo calo di tensione o interesse.
È un giocattolino confezionato (bene) per i fanatici de I Soprano, con i giusti riferimenti e alcune appendici su alcuni personaggi della serie principale che rafforzano le impressioni già presenti (l’infame Corrado “Junior” Soprano, la parrucca di Silvio Dante, l’esilarante episodio della “cofana” di capelli di Livia sforacchiata a colpi di Smith & Wesson, etc.) e chiarimenti che arrivano finalmente a distanza di anni (la verità sulla morte del padre di Chris Moltisanti, episodio usato in futuro dallo spietato Tony, ormai boss della famiglia, per assicurarsi la fedeltà del nipote). Eppure coloro che non si sono mai appassionati veramente a I Soprano, per non parlare di quelli che l’hanno seguita di sfuggita o che magari non l’hanno mai vista, ci troveranno ben poco. Non che credessi di trovarci chissà che cosa pure io, ma almeno mi ha fatto piacere approfondire alcuni fatti e personaggi che vengono solo sfiorati nella serie principale, che rimane comunque un classico da vedere e rivedere con immutata soddisfazione negli anni, da vero capolavoro quale è. (Piero Tola)
Da appassionato de “I Soprano” ribadisco e condivido in larga parte le impressioni riportate nell’articolo. Un film che, di fatto, aggiunge poco (a parte l’episodio della morte di Moltisanti, giustappunto) o niente a quella che sarà poi la serie in sé ma piuttosto suggerisce e lascia intendere, a discrezione del singolo spettatore: è comunque un po’ pochino, ed anche i personaggi “secondari” (se tali li si può comunque mai definire) che poi impareremo a conoscere bene sono quasi relegati a figure di contorno. Ma come viene giustamente sottolineato non si può pretendere più di tanto da un film di due ore che accusa in effetti qualche momento di stanca, un miracolo che neppure a un autore come David Chase si può chiedere. Non avevo grosse aspettative e in questo senso non sono rimasto deluso: ad andare a toccare qualcosa di virtualmente perfetto come “I Soprano” – anche se a farlo è l’ideatore stesso della serie – si rischia di uscirne con la ossa rotte. Non è questo il caso (ed è già un grosso successo) ma l’hype che gli si è scatenato intorno non trova, almeno a mio parere, un riscontro concreto nel prodotto finale.
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