Italia oscura: speciale ALTAR OF PERVERSION

In origine questo pezzo avrebbe dovuto essere la celebrazione del ventennale del debutto From Dead Temples (Towards the Ast’ral Path), uscito nel maggio del 2001. Solo che poi ho pensato che i nostrani Altar of Perversion meritassero qualcosa di più approfondito, anche perché, pur essendo attivi da quasi un quarto di secolo, hanno sempre fatto uscire nuovo materiale piuttosto sporadicamente; quindi, dovendo passare parecchio tempo prima di poterne scrivere di nuovo, avrei fatto prima a scrivere una biografia (spero) esaustiva una volta per tutte, e più avanti probabilmente capirete perché.

Sono sempre stati considerati fin dai loro primi passi come un’emanazione dei ben più celebri Necromass, anche se in realtà non è una verità così incontestabile. I due ragazzi, Laran (batteria) e Calus (voce, basso e chitarre), hanno in comune con i loro conterranei fiorentini il fatto di avere suonato sul primo sette pollici His Eyes, ma i punti di contatto si esauriscono qui, perché le loro strade si sono divise quasi subito. Soprattutto dal punto di vista musicale, perché, mentre i Necromass dei primi anni suonavano un (fantastico) black metal di impostazione piuttosto tradizionale, gli Altar of Perversion di fatto hanno sempre cercato di scrivere musica che si discostasse da pattern canonici. Ci vollero poi circa quattro anni prima che l’entità Altar of Perversion venisse ufficialmente alla luce con la demo The Abyss Gate Re-opens, credo tuttora disponibile solo in cassetta. Nell’epoca pre-Discogs trovarla era un vero casino, ma, da quando c’è internet e quella mostruosa entità nella quale trovi praticamente qualunque album uscito sulla Terra, credo che si riesca a rintracciare senza eccessivi sbattimenti. La mia è la copia di una copia e mi va bene così, ci sono affezionato. Si capiva fin da subito che il progetto cercava di suonare un black metal oscuro ed occulto, rituale e ad alta percentuale demoniaca. I riff sono strani e dissonanti, addolciti dall’uso onnipresente di arrangiamenti di chitarra acustica, che danno molto più senso a tutti i pezzi. Ovviamente, essendo una prima demo, i pezzi sono comunque grezzi e mancano di rifiniture adeguate, ma sto parlando di una tape uscita nel 1998, un’era geologica fa: riascoltarla dopo una vita è stato un piacere, come rivedere un vecchio amico per una birretta dopo tanto tempo.

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Dopo tra anni ci fu il passo successivo, o meglio i passi successivi, perché il 2001 fu sì l’anno dell’album di debutto ma anche di uno split 7” con i Goatfire, oscura entità che proponeva un black metal canonico e che divenne celebre, più che per l’effettivo valore della musica, in quanto “il gruppo di Nicola Solieri”, uno dei primissimi blacksters qui in Italia, disegnatore di artwork e capoccia della Hellflame Records, con cui ha pubblicato alcuni lavori di puro culto. Gli Altar of Perversion partecipano con Daemonic Lust, brano che parte in modo abbastanza lento e straniante per poi lanciarsi in una sfuriata velocissima di puro black metal non distante dai primi Immortal. Un bel pezzo, magari non eccessivamente originale, ma non è il caso di filosofare più di tanto.

Il meglio arrivò con From Dead Temples, che in un primo tempo fu pubblicato solo in vinile da End All Life e solo successivamente ristampato in CD da Drakkar (però attenzione: con un brano in meno – Carpathian Shadows  – e la scaletta dei brani diversa). L’album, piuttosto lungo, uscì nell’inusuale formato di doppio vinile (dodici e sette pollici): siamo vicinissimi all’ora di durata per un totale di otto brani. Il disco è tanto oscuro e occulto quanto la sua copertina lascia intuire sin dal primo impatto visivo. Gli Altar of Perversion hanno ibridato in questo lavoro la musica occulta di Death SS, Mortuary Drape e Opera IX, della quale noi italiani facciamo giustamente vanto, con un black metal di ispirazione nordica assai cupo, cadenzato e malvagio come pochi, che in momenti successivi esplode in blast beat violentissimi, quasi caotici. I pezzi sono tutti abbastanza lunghi, ed i ragazzi hanno dato il loro meglio nel renderli il più possibile vari e mai monotoni, fermo restando che ci si trova in un contesto di black metal estremo proposto in un mondo sotterraneo nel quale, come da consuetudine, sono i riff di chitarra e le tracce di basso che si prendono tutta la scena.

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Uno dei brani più iconici dell’intero album è The Wisdom of Evil, che parte in modo furente, rallenta, accelera nuovamente, rallenta ancora con un’angosciante sovraincisione di chitarra non distorta che disegna un riff ritualistico e con l’atmosfera resa greve dal basso più distorto che mai, segue una nuova esplosione parossistica, poi si torna su tempi più rallentati… tutto questo in circa otto minuti. Questo è quello che hanno voluto lasciare al mondo come loro opera prima gli Altar of Perversion, qualcosa di perfettamente inquadrabile nel black metal senza assomigliare o adeguarsi a musica scontata, trita e ritrita. Tutto il disco è così, complesso e compositivamente ricercato, senza riempitivi o brani meno riusciti, con un livello medio altissimo. Da segnalare anche Burningcoldvoiddemon e la title track. Ma sono proprio dettagli, gusti personali. Il vinile diventò oggetto di culto in brevissimo tempo e fu ricercatissimo, molto spesso invano. Era veramente raro: chi se l’era comprato direttamente dalla label se lo teneva stretto, anche perché ai vari mailorder sparsi per il mondo fu distribuito un numero molto limitato di copie, delle 500 che ne esistono. È da ridere che oggi si trovi su Discogs a prezzi ben più che abbordabili per il gran disco che è, ma occorre ripetersi:  il mondo non è più quello di una volta, c’è un’era pre-Discogs e un’altra post-Discogs. La stessa End All Life lo ha poi ristampato poco tempo fa, sempre nel formato 12’ + 7’, senza limitazioni di copie e non numerato. Se oggi lo cercate si trova facilmente.

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Prima di poter ascoltare nuova loro musica si dovettero aspettare quattro anni, quando nel 2005 uscì uno split/tributo ai Der Blutharsch, nel quale gli Altar of Perversion erano presenti con un solo lungo brano di circa undici minuti (che immagino sia un medley di pezzi dei DB) nel loro stile black metal occulto, fatto di momenti duri e rallentati alternati a sfuriate distruttive suonate a velocità impressionanti. Il pezzo è discreto, anche se personalmente a me non ha mai detto niente di che; più che altro è un disco da collezione, specialmente se lo voleste prendere in versione 10 pollici in vinile grigio (non so se ne valga poi così tanto la pena perché il prezzo è già altino, piuttosto si può prendere il CD se proprio si vuole).

Sempre in vinile dieci pollici esce l’anno seguente l’EP Adgnosco Veteris Vestigia Flammae, costituito da due brani molto lunghi, per lo più lanciati a tutta velocità verso la distruzione totale. Un po’ s’ispirano a Battles in the North per quanto sono forsennati. Forse i loro più violenti di sempre, poco contano i rari momenti di tastiere ambient. The Flame of Hate and Wisdom è grandioso, un pezzo da leggenda. Non credo serva aggiungere altro. Questo sì che è un disco da avere, esiste solo in formato vinile ma si trova ancora lo stesso.

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Quando oramai li si dava per scomparsi, a ben dodici anni di distanza dall’EP del 2006 esce il secondo album Intra Naos, quasi inaspettato. End All Life non esiste più da un pezzo, ora si chiama Norma Evangelium Diaboli, ma è sempre l’etichetta di Hasjarl a credere in loro. Il songwriting è cambiato in modo radicale, spostato verso un religious black metal personale ed impostato su uno stile del tutto differente dalla prima parte di carriera. Lasciate tutte le influenze dark/occult alle spalle il suono adesso è schizzato, aspro, acido, in parte debitore di quanto si può ascoltare su dischi come Paracletus di Deathspell Omega, VVorld VVithout End di Katharsis, oppure quelli degli Antaeus più catastrofici. Intra Naos è strutturato in sei pezzi ed è una specie di opera omnia: il brano più breve dura poco meno di sedici minuti, Behind Stellar Angels è un mastodonte da sedici e mezzo, tre altri pezzi sfiorano od oltrepassano la frontiera dei venti minuti, Through Flickering Stars They Seep raggiunge i venticinque. Lo credo che ci hanno messo dodici anni a scrivere composizioni così lunghe, elaborate e complesse, molto tese, violente e dissonanti. Sono di una pesantezza assurda, contorte all’inverosimile, angoscianti, apportatrici di genuino malessere. L’ascolto dell’album intero tutto di un fiato è praticamente impossibile, bisogna proprio essere votati alla sofferenza ed al martirio: considerata la durata di due ore è uscito in doppio CD (o triplo vinile) affinché fosse agevolato l’ascolto in più momenti, meglio se non troppo ravvicinati. Cosa assai consigliata, vista l’estrema complessità della proposta e il deliberato intento di subissare l’ascoltatore di musica disturbante, per usare un eufemismo.

Morale della favola: tranne forse lo split tributo con i Mordaeoth che aggiunge abbastanza un cazzo alla loro storia, non c’è un solo disco soprassedibile nella discografia degli Altar of Perversion, seppure non sia certo polposa. Se avessi dovuto aspettare di nuovo un ventennale per scrivere dei nostri alfieri del black metal “non standardizzato”, avrei dovuto attendere fino al 2038, nella migliore delle ipotesi il 2026 per l’anniversario di Adgnosco Veteri Vestigia Flammae, che però è un’EP, formato del quale non sempre si celebra il compleanno. Quindi le occasioni per parlare di un progetto italiano impostosi nella scena black mondiale grazie agli indubbi meriti della loro proposta, sì ostica ma anche inconfutabilmente black metal fino al midollo, vanno sfruttate quando si presentano. From Dead Temples compie vent’anni, l’occasione per scoprirlo e riscoprirlo è adesso, e, visto che ora conoscete anche tutto il resto della loro musica, già che ci siete potrete accostarvi anche a questa. Tanto prima di poter ascoltare qualcosa di nuovo da parte loro mi sa che passeranno ancora anni, se mai effettivamente si potrà. Il tempo non manca. (Griffar)

One comment

  • Grande band! E ottima idea ricordarli… La scena fiorentina era un mondo molto particolare. Personaggio chiave ne è stato il caro Carlo Bellotti. Perché non lo intervistiamo o non gli chiediamo una testimonianza?
    Ricordo anche la bella demo degli Auramoth…

    "Mi piace"

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