Avere vent’anni: EIDOLON – HALLOWED APPARITION

Gli Eidolon sono quel gruppo che richiami nominando certi album dei Megadeth, soprattutto uno: United Abominations. Qui infatti, scoppiata la line-up di turnisti con Colaiuta e Poland, si radunarono due volti nuovi con lo stesso cognome, cioè i fratelli Glen e Shawn Drover. I due provenivano appunto dagli Eidolon, i quali, dalla metà degli anni Novanta, non avevano mai cessato di pubblicare dischi e che da quel preciso momento, come previsto, cessarono d’avere ogni minimo senso d’esistere. Con la differenza che il chitarrista, Glen, fu presto sostituito da Chris Broderick, mentre Shawn Drover comparirà nella lista d’indagati del Federal Bureau of Investigation quale “persona capace di sopportare Dave Mustaine per circa un decennio e dunque probabile terrorista o serial killer”.
Glen Drover era stato anche compagno di chitarre di Andy LaRocque in House of God di King Diamond, uscito nel 2000, per chi scrive uno degli album meglio prodotti, suonati e arrangiati del Re, sebbene molti altri titoli lo superino qualora si entri in tema di “canzoni”. Fine dei cenni biografici.
Gli Eidolon alla pubblicazione di Hallowed Apparition vantavano una discografia di ben quattro titoli, di cui il secondo, Seven Spirits, si presentava come il migliore da ogni punto di vista: pezzi, dinamismo, suoni, potenza, continuità. Non ho mai amato il loro debutto e ritengo il terzo Nightmare World un discreto capitolo di passaggio; al contrario Hallowed Apparition è l’album più maturo mai proposto dal quartetto, una sorta di compendio o riassunto di quale fosse il loro stile, di quali fossero le loro origini.
Trovo fuori luogo l’etichetta di band power/thrash che spesso gli viene affibbiata: nonostante un’oscurità di fondo che ne pervade le composizioni, il frequente paragone coi Nevermore ci sta, almeno sin qui, solo fino a un certo punto, così come ci sta fino a un certo punto quello con autentici ed effettivi pionieri del power/thrash come gli Heathen. Gli Eidolon sono una riedizione moderna del massiccio power metal americano dei Metal Church, piuttosto: ritmiche raramente veloci, anzi, nel caso di Hallowed Apparition direi che gli scampoli di velocità sin qui adoperati sono del tutto tenuti in disparte. E poi c’è quel cantato completamente vecchia scuola ad opera di Brian Soulard, che personalmente non ho mai amato ritenendolo il principale limite di codesta formazione in coppia con la creatività. Fortunatamente, in occasione dell’album in oggetto, egli presenzierà al microfono per l’ultima volta per poi cedere il testimone a Pat Mulock. Un po’ ripetitivi, per niente innovativi: gli Eidolon sapevano innanzitutto suonar bene e infilare in serie riff assassini il cui DNA era riscontrabile in album del passato come The Dark e Blessing in Disguise. E qui ci offrirono il loro secondo o terzo miglior disco fra tutti, nulla di trascendentale, in ogni caso. Ma una puntatina sul secondo Seven Spirits, credetemi, andrebbe fatta. (Marco Belardi)