Avere vent’anni: DEPECHE MODE – Exciter

Exciter è forse l’ultimo album in cui i Depeche Mode cercano di fare qualcosa di diverso, l’ultimo in cui hanno rischiato qualcosa. Intendiamoci, i dischi successivi (soprattutto Playing the Angel) sono sempre buoni, alcuni pezzi sono straordinari, ma è evidente che Gore e soci hanno comprensibilmente scelto di percorrere sentieri già battuti, con alcune piccole deviazioni occasionali (soprattutto nel sottovalutatissimo Spirit). Exciter, invece, pur non costituendo una rivoluzione nella discografia della band, si allontanava parzialmente dalle atmosfere dello splendido predecessore Ultra, costruendo l’intero album intorno ad un mood unitario, reso ancora più avvolgente dalla produzione del compianto Mark Bell, tra i più influenti produttori di quegli anni e membro degli LFO.

Il risultato è un disco che si allontana sia da certe melodie più orecchiabili di Ultra, sia da un certo “massimalismo” (anche a livello di immagine) del passato sia prossimo che remoto, a vantaggio di un approccio molto più essenziale e quasi minimale. Una caratteristica che accompagna ogni aspetto del disco: dalla copertina, ad alcune scelte produttive, financo alla prestazione di Dave Gahan, sempre di livello, ma in questo caso volutamente in “chiave minore”.

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Il risultato è un disco sicuramente imperfetto e per niente immediato, che alla sua uscita ha lasciato abbastanza freddi sia critica che pubblico, i quali hanno, senza mezzi termini, frettolosamente giudicato l’album piatto e monotono e, a parte Dream On e Freelove, privo di veri e propri singoli. Per quanto mi riguarda, la prova del tempo ha reso pienamente giustizia ad un album del genere e riascoltarlo oggi ci dà la conferma della superficialità di alcuni giudizi dell’epoca (compreso il mio). Perché Exciter non è un disco facile, non ha quasi nessun pezzo “accattivante” e richiede un livello di attenzione maggiore, anche rispetto al passato, ma alla fine, quando si inizia a decifrarlo, rivela molte più potenzialità di quelle apparenti.

Lasciamo stare i due singoloni più famosi, ottimi e orecchiabili (a dispetto della magnifica e dissonante intro di Freelove), ma la vera natura di Exciter esce fuori in brani come The Sweetest Condition, dove la voce diventa ulteriore strumento che si fonde sul tappeto sonoro imbastito da Bell, oppure nell’impalpabile Shine, dall’atmosfera quasi lounge. Il vero cuore del disco esce in questi passaggi, o quelli di Comatose in cui, a livello di suoni e di approccio i Depeche Mode insistono su strade diverse, non preoccupandosi di avere un impatto minore e rischiando qualcosa, anche dopo tanti anni di successi.

Paradossalmente, a distanza di vent’anni sono proprio i brani più classici come When The Body Speaks e I Feel Loved ad essere di “troppo” e ad appesantire un disco che avrebbe meritato maggiore considerazione, anche nel contesto di una discografia pressoché impeccabile come quella dei Depeche Mode. (L’Azzeccagarbugli)

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