Avere vent’anni: ABSU – Tara

Di Proscriptor McGovern ho il ricordo migliore possibile. Non solo quello della mia adolescenza, che fu parecchio legata alla scena estrema della prima metà degli anni Novanta, e di cui i suoi Absu erano parte con un certo onore, ma anche quello più recente, legato all’attitudine e dedizione verso la causa. I molteplici progetti intrapresi negli anni stanno là a dimostrarlo, e, se ciò non bastasse, c’è pure un episodio che mi impressionò favorevolmente in occasione di una serata di qualche anno fa. Il luogo era un locale davvero scalcagnato sulla riva sud della Vistola. Un caseggiato che normalmente ospitava gruppi punk o HC e che sembrava squattato (e probabilmente lo era). Gli Absu erano stati invitati e per due ore suonarono a volumi altissimi, con McGovern che fece la prima ora a fuoco dietro le pelli, e che successivamente una pelle la indossò (era una specie di pellicciotto di qualche bestia morta ammazzata) e si mise dietro all’asta del microfono per tutta la seconda parte del set, sudando e sgobbando come un animale. Durante la prima ora si accorse che il microfono che aveva indosso mentre si sbatteva su quel dannato sgabello non funzionava a dovere. Io gli stavo praticamente accanto, al lato del palco, bottiglia di birra in mano e un orecchio proteso verso le casse. Si sentiva abbastanza bene, eppure lui volle dare il meglio e sospese lo show per iniziare a rovistare in una valigetta che teneva là vicino. Rovista che ti rovista, iniziò provare diversi microfoni fino a quando non ne trovò uno che lo soddisfava, il tutto con una professionalità e concentrazione che non avrei mai sospettato. Dopodiché, come nulla fosse, si risiedette dietro le pelli e riattaccò lo stesso pezzo con rinnovata ferocia. Questo è Proscriptor McGovern. Rispetto assoluto.

absu tara

Quando ero un giovane cazzoncello mi piacevano i vari Baratrum: V.I.T.R.I.O.L. e The Sun of Tipharet, come pure, sebbene in misura leggermente minore, The Third Storm of Cythraul, altro bel disco di black metal senza fronzoli, con i riff, le atmosfere epiche e tutto quello che ci deve essere per rendere un album del genere riuscito. Tara invece è differente. Tara è quel disco di un’epoca successiva, che magari recuperi anni dopo, come è successo a me, perché nel mentre hai perso interesse per Proscriptor e gli Absu e hai scoperto milioni di altri gruppi e generi musicali, che però ogni volta che lo ascolti ti ricorda i primi album di musica estrema sentiti appunto in età adolescenziale: Hell Awaits, Reign in Blood, Pleasure to Kill… e dà esattamente la stessa impressione di essere totalmente privo di artifizi, estremo e aggressivo in tutto e per tutto, e in cui soltanto l’impatto sonoro e la violenza sonica contano. Un assalto senza sosta principalmente orchestrato dal mostruoso Proscriptor e dal suo stile frenetico, e sostenuto dalle strutture più coerenti e dirette che si possano immaginare. Assolutamente non facilone, attenzione, ma parecchio ben suonato e concepito e mai troppo atmosferico o “cervellotico” (se un aggettivo del genere mai pure lontanamente si sia potuto associare agli Absu). Tara è coerente con il filone celtico degli Absu, intuibile grazie alle tematiche dei testi e agli inserti di cornamuse, comunque mai troppi e mai troppo stranianti rispetto all’intento principale, che è sempre quello di demolire e distruggere. Il tutto per mezzo di una vena thrash che più genuina non si può, che aggredisce senza sosta, lascia senza fiato e vuole solo far scapocciare fino a quando la testa non si stacca dal collo, perché in fondo noi vecchi scureggioni siamo persone semplici: ci basta un disco con i riff e il tupatupa (in questo caso di qualità superiore) e siamo tutti contenti. Fanculo tutto il resto. (Piero Tola)

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