Dinosaur Jr. – Sweep It Into Space

Avevo approfittato del nuovo disco degli Arab Strap per fare una riflessione generale su quello che spinge una band a ritornare sulle scene dopo tanti anni di inattività e su come spesso sia difficile soddisfare le aspettative del proprio pubblico, ma anche di come fortunatamente esistano delle eccezioni. Una di queste sono sicuramente i Dinosaur Jr. che, come è noto, sono tornati sulle scene con la formazione “storica” a tre nel 2007, dando alle stampe un disco, Beyond, che, allo stesso modo del ritorno degli Arab Strap, metteva subito le cose in chiaro, ma in modo completamente diverso.
Beyond era a tutti gli effetti una capsula spaziotemporale, una camera con vista sui ’90 (a livello di suoni, struttura dei brani, copertina e persino look del gruppo). Ma, ed è questa la cosa davvero incredibile, non era un disco nostalgico o un ritorno al passato dopo svolte poco riuscite, ma solo la logica e naturale prosecuzione di un certo discorso che si era interrotto. I dischi successivi si sono inseriti in questo solco e, seppur senza dispensare particolare sorprese, hanno finito sempre per convincere praticamente tutti. Perché ci può essere il disco più riuscito (questo Sweep it into Space) e l’album non del tutto a fuoco (come il comunque buono I Bet on Sky), ma dopo due secondi ti ritrovi in quel mood tipico dei Dinosaur Jr. e stai già lì a canticchiare tutte le canzoni.
Nel caso di quest’ultimo disco le cose sono andate particolarmente bene: non è cambiato nulla, neanche di una virgola, la voce di J. Mascis è sempre la stessa, i suoi assoli pure, ma tutte le canzoni sono davvero notevoli e a questo giro anche il brano di Lou Barlow (The Garden) è davvero molto bello.
Per il resto l’album è il solito rollercoaster emozionale dei secondi Dinosaur Jr., come emerge chiaramente a partire dall’atmosfera trasognata dell’iniziale I Ain’t, ennesima declinazione del “J. Mascis pensiero” al quale, però, è impossibile resistere e che non viene mai a noia, anche dopo tanti anni. Perché quando partono quelle chitarre, quella distorsione, quei riff lì, sempre uguali, ma sempre dannatamente perfetti, ti ritrovi per l’ennesima volta, come la prima, un sorriso stampato in faccia. Potete ben comprendere, quindi, come sia del tutto inutile descrivere gli altri brani, perché ci troviamo davanti al solito bel disco dei Dinosaur Jr.
E diciamoci la verità: a chi non piacciono i Dinosaur Jr.? E, soprattutto, come si fa a non stare bene quando si ascolta un loro nuovo album?
Riflettevo oggi, mentre ascoltavo il disco in cuffia camminando per una Roma semideserta da 25 aprile e baciata dal sole: ogni volta che esce un nuovo disco dei Dinosaur Jr. è come quando riabbracci un paio di Amici, di quelli veri, che non vedi da tanto tempo. Per prima cosa appena scambi quattro chiacchiere è come se fossero passati al massimo un paio di giorni dall’ultimo incontro, e secondariamente, dopo pochi minuti, indipendentemente dall’età e da come si sono evolute le rispettive esistenze, ti ritrovi a giocare alla Playstation, a bere una birra e a cercare di capire se Fabio Lione ha bestemmiato su Symphony 2, mentre ti alzi a mettere su un altro disco, ricordando qualche concerto del passato, quando eravamo abbracciati e meravigliosamente assembrati in qualche locale che oggi non esiste più.
Insomma, è una questione sentimentale. E se i sentimenti sono sinceri e se le idee ci sono, nella musica come nella vita il risultato sarà sempre buono. (L’Azzeccagarbugli)