Once upon a time in Norway #21 – No kids / No dogs / No credit cards / No flash photography

Il giornalismo gastronomico, quando è ben fatto, è un’arte rara. Essendo cresciuto con le recensioni di ristoranti e alberghi di Edoardo Raspelli sulla Busiarda, ho sempre provato un sadico gusto a leggere le stroncature per via di un bagnetto cieco in camera o della scortesia del personale, prontamente trasmutata in affettato interesse una volta riconosciuto il giornalista prenotato sotto falso nome.

Faccio queste considerazioni per parlare di una cosa apparentemente slegata dalla gastronomia: ovvero la nostalgia del black metal di un tempo. Sono arrivato in ritardo di tre-quattro anni sulla stagione magica dei primi anni Novanta, e ho cominciato a frequentare la Norvegia regolarmente solo all’inizio del nuovo millennio. Ho quindi vissuto una storia di delusioni. La prima (e più cocente) è stato capire che ai norvegesi non gliene frega niente del black metal, e che anzi, almeno fino a 15-20 anni fa, era meglio non parlarne. Fa parte del passaggio all’età adulta di ogni metallaro, ma è anche causa di un meccanismo inconscio che mi ha perseguitato e forse continua a farlo. Dove ritrovare quel black metal, quelle atmosfere e quelle emozioni ormai scomparse?

Foto di Anders Husa

Il pensiero mi ha colpito durante la mia prima visita a Pjoltergeist. Come spiega Anders Husa (una sorta di giovane Raspelli norvegese), Pjoltergeist è stato per anni IL ristorante migliore di Oslo, in una scena gastronomica estremamente competitiva e in espansione. Intendiamoci: non stiamo parlando di ciccioni partenopei prestati alla televisione, né di fighetti modenesi che ti mettono le mani addosso mentre parlano, né tantomeno di oriundi istriani-americani che maltrattano le coniugazioni dei verbi. Si tratta di gente che, a cominciare da Fäviken e da questo magnifico libro qua, ha cercato di far capire al mondo che la gastronomia nordica è molto di più che merluzzo al forno e patate lesse, e che con le giuste grappe, anche il salmone putrefatto può diventare una delicatezza (la spettabile redazione, come avete potuto leggere qui, non ci crede, ma è un problema suo).

Ora, che c’entra il black metal? Ebbene, guardate l’insegna di Pjoltergeist e il laconico INGEN: / BARN / HUNDER / KREDITTKORT / KAMERABLITS, che ho tradotto nel titolo. Ditemi se non vi ricorda qualcosa (aiutino per i più giovani). Non penso di esagerare se dico che scendere i tre gradini di Pjoltergeist (originariamente un laido pub degli Hell’s Angels, mai veramente ristrutturato) sia quanto di più vicino ci possa essere a varcare la soglia di Helvete. Il mobilio trascurato, i piatti spaiati, la selezione musicale (hip hop, punk e hardcore) sparata a volumi decisamente troppo alti per un ristorante, e la possibilità di mangiare fino a notte fonda, facevano di Pjoltergeist una mosca bianca nel contesto della gastronomia osloense. Ovviamente, alla sciatteria formale corrispondeva un menù da paura, solidamente ancorato ai prodotti locali ma con una netta idea fusion, annaffiato da vini quasi esclusivamente a fermentazione naturale. Esattamente come succedeva a Helvete, direi, dove allo strato di cracia che sicuramente ricopriva il posto corrispondeva la creazione e lo smercio di alcuna tra la musica più genuina, se non migliore, di tutti i tempi (addirittura!)

Foto di Anders Husa

Ora, come Helvete, un paio di anni fa Pjoltergeist ha chiuso. Lo chef islandese Atli Már Yngvason ha scelto di smettere di fare lo scapadacà e si è aperto un ristorante come si deve in pieno centro, Katla. Certo, menù e carta dei vini sono rimasti stellari, ma l’atmosfera di Pjoltergeist è andata perduta per sempre. A meno che… a meno che gli ex soci di Yngvason, che hanno appena riaperto il locale con il nome di Hyde, non riescano a fare il botto. Ne dubito: provati Pjoltergeist, Katla e, un paio di settimane fa, Hyde, posso concludere che il passato davvero non tornerà più. Ok, il concept è molto debitore alla sua precedente incarnazione (ottimi vini petnat, apprezzatissimi il muffin al guanciale e il rombo al curry); ok, la playlist e il volume sono rimasti simili; ok, il nuovo chef ha forse anche più tatuaggi del precedente, ma indietro, ahimé, davvero non si torna.

È come quando Neseblod si trasferì a Schweigaards gate rilevando i locali (quasi) originali di Helvete: puoi convincerti quanto vuoi che il passato ritorni, ma sai bene che è un’illusione. La morale, comunque, è e deve rimanere positiva: finché sappiamo che sono esistiti posti come Pjoltergeist, potremo essere sicuri che la fiamma nera è viva. Questa volta si è accesa nel fine dining, la prossima volta sarà in un lavasecco con Soulside Journey in sottofondo, o in un negozietto di alimentari con i Sarcofago a tutto volume. Il black metal delle origini è più vivo che mai, basta saper attendere la sua prossima epifania. (Giuliano D’Amico)

3 commenti

  • Metallo nero, lo shampoo col Dom Pero

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  • Metallaro scettico

    no fun no core no mosh no trends

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  • Un giorno tornerò in Norvegia con calma e almeno saprò dove andare a mangiare. Comunque la nostalgia è una brutta bestia. Anche solo nella mia città, non c’è niente rimasto come quando ero un pischello e tutti i posti un po’ unici e d’atmosfera sono scomparsi. Ma hai ragione nel finale. Lo spirito continua e si manifesterà ancora da qualche parte e in qualche modo. Basterà avere pazienza.

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