Lesso rifatto con cipolle, AURA NOIR e MOURNFUL CONGREGATION

Qualche settimana fa ho fatto la cazzata di dire che mi sarei occupato delle recensioni dei nuovi dischi di Aura Noir e, prima ancora, Mournful Congregation.

In pratica è andata così: nonostante si trattasse di due gruppi che seguo rispettivamente da Deep Tracts Of HellThe Monad Of Creation, ho iniziato a sentirmi i nuovi e a non capire esattamente cosa scriverne. Per questo butterò giù giusto due righe per ciascuno, e per il fatto che voglio un bene cane a Blasphemer e al sound marcio a zero BPM degli australiani.

AURA NOIR – Aura Noire

La cacofonia del primi tempi non c’è più: gli Aura Noir sono, pur restando un vero e proprio tributo alla old school, un gruppo quadrato in cui distingui perfettamente il basso e ogni singola plettrata. Detto questo, Aura Noire ce li riconsegna senza mettere in vista particolari novità: Blasphemer c’è e sicuramente si diverte più dei Mayhem in preda ad Esoteric Warfare, e l’album scorre senza intoppi citando prima gli Slayer, poi gli Immortal con i consueti arpeggi fuori da spazio e tempo di Hell’s Lost Chambers, quindi i coinquilini di stile Destroyer 666 in The Obscuration. In mezzo l’album prende addirittura una certa impennata: Demoniac Flow è un omaggio ai primissimi Destruction, mentre la successiva Shades Ablaze vince senza alcun dubbio il titolo di miglior pezzo del disco, passando dalle parti dei Venom degli anni novanta. Aura Noire non è bellissimo, ma, senza pretendere di muovere un cazzo sulla scacchiera, non delude affatto, e ti fa pensare che vorresti attendere qualcosa meno di sei anni per ascoltarli di nuovo. Inoltre Apollyon è più sul pezzo che mai, col suo modo di scandire ogni parola vomitata, così vicino agli anni Ottanta e alle relative scene sotterranee di culto. Ma la cacofonia era un’altra cosa, e, visto che nel loro caso si utilizza spesso l’etichetta black/thrash, essa componeva un aspetto fondamentale del sound degli Aura Noir che, oggi, probabilmente è venuto definitivamente a mancare. Una jeep Defender buttata per disperazione dentro a un autolavaggio dopo chilometri di sterrato, fango e per finire polvere: sì, è tirata a lucido e mostra dei gran graffi, ma la amavi di più quand’era battagliera e inguardabile. E così gli Aura Noir. 

MOURNFUL CONGREGATION – The Incubus Of Karma

I Mournful Congregation sono quel gruppo australiano che mi ha fatto innamorare di un genere, detto principalmente funeral doom, di cui all’epoca conoscevo solamente gli Evoken. Ricordo esattamente come andò: uscì Quietus e iniziai a cazzeggiare alla ricerca di qualcosa che si ricollegasse al loro sound, senza particolare successo. A distanza di qualche tempo, mi schiantai su questo gruppo dell’emisfero sud che era in circolazione da un bel po’ di tempo e aveva registrato diversa roba, ma mi pare un solo full. The Monad Of Creation – per quanto mi piacque da matti – fu l’unico mio passaggio attraverso la loro discografia, che sarei tornato ad apprezzare e approfondire solamente in anni recenti. The Incubus Of Karma è il nuovo album e non c’è molto da dire: dopo un decennio molto prolifico, era qualche anno che erano piombati nell’assoluto silenzio e si ripresentano pure con un nuovo batterista, col compito di colpire il rullante un massimo di dieci volte in suite anche di 22 minuti. Sì, ce n’è una che dura così tanto e pure il titolo non scherza, A Picture of the Devouring Gloom Devouring the Spheres of Being. C’è anche una titletrack strumentale che smorza i toni e facilita il prosieguo a chi troverà arduo un ascolto del genere. Il concetto è: il sound dei Mournful Congregation non cambia di un paio di virgole, e se li avete amati finora andrà bene anche con The Incubus Of Karma. Non c’è molto da recensire o commentare, e personalmente apprezzo questo gruppo, e li ho dunque riascoltati più che volentieri.

Concluderei con due parole sul lesso rifatto con le cipolle, una tipica ricetta fiorentina che consiste nel non mandare affanculo la carne dopo averci fatto il brodo. In poche parole, con l’ausilio di ingredienti poveri quali cipolle, aglio in base al gradimento e polpa di pomodoro, trasformeremo in un piatto ghiotto quello che all’apparenza è soltanto un blocco di ciccia poco saporita e che riprenderebbe vita solo sotto un paio di dita di aceto balsamico e un anestetico naturale come il Santa Cristina rosso.

Fonte: da Burde, Firenze

Fatte rosolare le cipolle – solitamente rosse e tagliate a fette fino a piangere e cantare come Warrel Dane – e l’eventuale spicchio d’aglio nell’olio extravergine di oliva, si aggiungerà del brodo, che andrà ulteriormente a insaporire la ricetta, oltre a non far attaccare le cipolle alla padella mentre le facciamo appassire. Successivamente si passerà ad aggiungere la polpa di pomodoro, formando così un gustoso sugo che si ritirerà gradualmente. Salare e pepare infine il tutto. C’è chi a fine cottura getta nel calderone la carne tagliata in stile spezzatino, e chi invece cola sopra di essa il sugo fino a totale copertura: io sono della seconda scuola di pensiero, ma l’ho quasi sempre mangiato nel primo modo. C’è chi chiama questo capolavoro “francesina“, ma io non lo sopporto e per me resta e resterà sempre il lesso rifatto con le cipolle: buon appetito, compagni di merende! (Marco Belardi)

5 commenti

  • Shades Ablaze pezzone incredibile! Ho apprezzato molto che rispetto ad “Out to Die” hanno optato per un suono più primitivo, da notare che c’è una sola traccia di chitarra, durante gli assoli il basso rimane da solo, stile vecchi Venom, non posso non acquistarlo.

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  • mi fa spisciare quando strilla INDIFFERENTZZZZZZZ / APOCALYPZZZZZZZZ
    ma poi mica l’ho capito… canta Apollyon o il tizio senza gambe che suona con chiunque?

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    • Hahaha povero Aggressor, anzi che è vivo! Cantano entrambi come da tradizione Aura Noir, peccato che Aggressor non possa suonare più la batteria, spaccava ai tempi!

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      • eh sono un paio di settimane che ho in stand by il discone dei ved buens ende ma ancora non me lo so sentito. Comunque gli aura noir me li sparo a dicembre nel concertone pre-eindhoven metal meeting. fatemi compagnia su su

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  • Ah comunque il bollito rifatto lo facciamo pure qui a roma e si chiama Picchiapò. Ci aggiungiamo solo un po’ di origano perchè siamo esotici

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