SHAPE OF DESPAIR – Monotony Fields (Season of Mist)

506491La bellezza dove non te l’aspetti potrebbe essere un sottotitolo adeguato.

Gli Shape of Despair, band finnica di funeral doom, nati dalle ceneri dei Raven e noti per aver prodotto, nei primi anni ’00 un paio di album di buon livello (Angel of Distress e Illusion’s Play), escono dai sepolcri dopo undici anni di oblio. Ne conservavo un buon ricordo, quindi ho ascoltato questo Monotony Fields con positiva disposizione d’animo, per quanto sia consentito essere positivi nell’atto di dedicarsi a un gruppo che fa della sofferenza e dell’abbandono i propri punti cardinali. Lasciata la Spikefarm ed entrati nel roster della Season of Mist, Jarno Salomaa e compagnia cinerea sfatano la credenza comune secondo la quale il tempo basti da sé a curare ogni pena e ci consegnano tra le mani un macigno di enorme pesantezza affinché potessero trascinarci tutti nel loro supplizio. Alè! Monotony Fields è probabilmente il miglior album mai fatto dai sei poco allegrotti ragazzi di Helsinki e più che dalle parti di Skepticism e Thergothon, qui ci troviamo di fronte a qualcosa di abbastanza inusuale. Sebbene le caratteristiche di un genere come il funeral doom siano notoriamente limitate, i SoD riescono a metterci dentro una ‘varietà’ che li rende ancora più interessanti di prima o più semplicemente belli.

Trovo molta difficoltà nel fare paragoni ma c’è qualcosa nelle lente melodie che mi richiama alla mente gli ultimi lavori dei Saturnus e, estendendo il concetto, i My Dying Bride. Ciò che si coglie subito e con maggior evidenza, però, è quel substrato dark ambient che da solo riesce nell’impresa impossibile di dare, come si diceva, un minimo di varietà ad un genere musicale per sua natura blindato ed immobile. Il fatto di aver registrato una cover di Estrella dei Lycia, ormai un po’ di tempo fa, potrebbe darci un qualche ulteriore indizio per inquadrare la road map che i finnici avevano deciso di seguire già ai tempi del doom goticheggiante di Illusion’s Play e che li ha condotti fino a qui. Il merito di quanto sopra lo assegnerei in primis al tocco di tastiere di Jarno ed alla voce eterea e romantica di Natalie Koskinen (al secolo Natalie Safrosskin), ex moglie del precedente cantante Pasi Koskinen (già storico membro degli Amorphis) le cui (probabili) difficoltà familiari e un’ugola non più efficacissima lo hanno costretto a cedere il passo a Henri Koivula dei Throes of Dawn il quale, col suo cantato pulito e il growl profondo, aggiunge sicuramente un quid in più in termini di interpretazione. Come si dice sempre in questi casi, un gradito ritorno (Charles).

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