KVELERTAK @Traffic, Roma, 21.03.2013
La regola non scritta di ogni live report che si rispetti prevede che sia assolutamente tassativo saltare il primo gruppo in scaletta. Indifferentemente dall’orario e dal luogo del concerto, il giornalista che si occupa di parlare della serata dovrà sempre e comunque trovare uno stratagemma plausibile per giustificare il suo ingresso in ritardo. Nel mio caso posso sempre avvalermi dell’insormontabile barriera dettata dai sensi unici e dai cantieri aperti a caso nei quartieri più disparati di Roma, autentica sciagura biblica per chi è abituato a muoversi solo coi mezzi pubblici e, quando è costretto a guidare per le strade della Capitale, posa lo sguardo esclusivamente sul navigatore sperando di non trovare nessun ostacolo sul cammino.
Fatto sta che, appena giunti al Traffic, ci accorgiamo che girano due o tre locandine diverse, che i Grime – l’unico gruppo presente in tutte le versioni delle locandine – stanno per terminare la loro esibizione e che subito dopo si sarebbero dovuti esibire gli Orange Man Theory.
Invece, con somma delusione del Masticatore, le pulsioni hardcore punk/southern rock/d-beat (io gli Orange Man Theory non li conosco, ma chi si è occupato della loro pagina su Wikipedia deve essersi divertito un sacco) resteranno insoddisfatte e sublimate dal prog/hard rock pestone degli El Doom & The Born Electric, gruppo norvegese sulla cui line up non sto ad erudirvi e che, nonostante un terrificante avvio con clamorosa stecca del cantante, presenta una set list energica e di impatto, capace di scaldare i pochi presenti in sala, portando una calda ventata di desert rock in questa fredda serata di marzo [cit.].
L’unico a restarci veramente male è lo stesso Masticatore, che ricostruisce in modo preciso e puntuale i due fatti salienti della serata: “Insomma, tutto bello. Io però volevo vedere i The Orange Man Theory, non gli El Doom; che saranno anche bravi eh, ma chi se li incula. MA CHIVVESENCULA! Ho riconosciuto il bassista dei The OMT nel locale, quel tizio enorme chiamato Cinghio, e gli ho chiesto: ‘Ma non suonate stasera?’ e lui mi risposto ‘Eh no, l’agenzia..’ e poi non ho capito cosa ha detto perché quei cazzo di El Doom stavano suonando. Allora io ho bestemmiato, e lui ha risposto ‘Ehh, è un peccato’ ma non credo si riferisse alla bestemmia. Poi sono andato a comprarmi una tshirt dei Kvelertak e facevano tutte cacare. Ne ho comprata una giallo merda, perché sono coglione e le tshirt le compro sempre. Tra l’altro ho notato che ormai il gufo è diventanto il simbolo del gruppo. Sulla maglietta che ho comprato c’è questo tizio che al posto della testa ha un gufo. Pure nel video di Braune Brenne c’è una cosa simile. Io quello che voglio sapere è cosa c’è di fico nel ficcare la testa in culo a un gufo. Però vabbè, questi so norvegesi, e quando tornano a casa da scuola incontrano temibili lupi che vogliono sbranarli. E loro li cacciano via mettendo i Megadeth a palla. Insomma, probabilmente hanno ragione loro”.
Il primo disco dei Kvelertak generò tutta una serie di giudizi opposti e contrastanti : da “dischetto carino” a “band di fighetti che in Norvegia è adatta ad un pubblico di under 16” fino alla pacata e, per quanto mi riguarda, più condivisibile opinione espressa a suo tempo proprio sulle pagine del nostro blog. Parliamoci chiaro, chiunque abbia anche solo una vaga e leggera infatuazione per il black metal, per i Motörhead, per il rock settantiano e, perché no, anche per il blues, non può non provare almeno un’endemica simpatia per questi sei scalmanati norvegesi, calati a Roma per presentare il nuovo disco in uscita a brevissimo anche in Italia.
I due singoli lasciano ben sperare ma, come la storia insegna, basta un attimo per andare alla deriva e diventare un gruppo di fighetti hipsters con gli occhiali e i pantaloni a zampa d’elefante, tant’è che ogni lievissima divagazione psichedelica ci fa correre terrificanti brividi gelidi lungo tutta la schiena.
La scaletta ripartisce in modo quasi equo i pezzi del primo con quelli del secondo disco anche se è il trittico Mjød – Fossegrim – Ulvetid, piazzato quasi in apertura, a scatenare un pubblico tutto sommato numericamente al di sotto delle aspettative, complice anche la data poco felice, con concomitante sciopero dei mezzi. Nelle prime file si segnala la presenza di una bambina di dieci anni – felpa di Snoopy e maglietta dei Kvelertak – instancabile headbanger e autentica speranza per un futuro migliore anche per questo disgraziato paese.
I pezzi nuovi danno l’impressione, ad un primo ascolto, di essere appena più melodici dei vecchi, come testimonia anche il coretto al limite dell’hair metal ottantiano di Bruane Brenn e, anche se dal vivo reggono piuttosto bene, la sensazione è che tra non più di due dischi i timori di cui sopra saranno talmente palesi che i presenti al Traffic potranno raccontare di quando hanno visto i Kvelertak dal vivo prima che diventassero qualcos’altro.
Nel frattempo ci godiamo un gruppo che, oltre a divertire, si diverte e anche parecchio, dando vita ad uno spettacolo tiratissimo, tutto d’un fiato, con pochissime pause ed un’energia straripante che il piccolo palco fa fatica a contenere.
Non manca il classico fuori programma, con Landa e Nygaard che scendono in mezzo al pubblico per andare a suonare sul bancone del bar, estemporaneo siparietto che è, in realtà, ormai già consuetudine nonostante la breve carriera alle spalle. Gli assenti, stavolta più che mai, avevano decisamente torto. Un testa in culo al gufo anche per loro. (Matteo Ferri)
qui foto da berlino: http://itsonlymusicbutlive.wordpress.com/2013/03/28/berlin-c-club-kvelertak-truckfighters-el-doom-the-born-electric/
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