Servire i morti: intervista ai SENTIENT HORROR con MATT MOLITI

In occasione del nuovo album In Service of the Dead abbiamo incontrato il fondatore dei Sentient Horror, il chitarrista/cantante Matt Moliti, al quale abbiamo fatto qualche domanda sull’ultimo disco, sulla produzione e su vari argomenti che riguardano il lavoro del gruppo.

Lo stile che avete proposto nei due singoli, Undead Mutation e Glory to the Rotten, è diretto e pieno di energia ed è una scelta stilistica che abbiamo sentito per tutto In Service of the Dead. Puoi raccontarci qualche dettaglio sulla composizione del nuovo album?

Sicuramente volevo orientarmi verso canzoni più brevi e concise questa volta. La maggior parte dei brani dura tra i 3 minuti e i 3 minuti e mezzo, anche se Glory to the Rotten è uno dei pochi che supera i 4 minuti. Avevo l’idea di evitare lo stile “riff salad” del death metal a favore di strutture canzoni più tradizionali, con strofe e ritornelli. Ci è sembrato che alcune delle nostre tracce più popolari dei primi tre album avessero questa struttura tradizionale, e allora ho pensato: perché non fare un intero disco così? Volevo anche usare più riff di chitarra armonizzati, quindi mi sono impegnato a inserirli in ogni brano dell’album. Ho anche rallentato leggermente le velocità complessive delle canzoni. Attenzione, il disco è comunque veloce, ma aver rallentato appena un po’ ci ha permesso di essere più incisivi nelle esecuzioni. Il risultato è che le canzoni in questo modo suonano ancora più aggressive rispetto a se le avessimo fatte più veloci. Glory to the Rotten è l’unico brano a tempo medio dell’album, ma ha ottenuto una grande reazione dai fan come singolo, e in futuro mi piacerebbe esplorare la scrittura di più brani in quello stile. Come chitarrista solista, ho deciso di adottare un’atmosfera alla Rust in Peace. Il modo in cui Dave Mustaine e Marty Friedman scrivevano i loro assoli in quel disco dei Megadeth è ancora molto tecnico, ma allo stesso tempo piace anche a chi non è un fanatico della chitarra. Alcuni dei nostri lavori precedenti, in particolare il primo album, hanno assoli che oggi mi sembrano un po’ troppo “tech death”, ma penso che il modo in cui li sto componendo ora si adatti meglio al nostro stile di death metal.

Tutti i vostri lavori precedenti sono stati masterizzati insieme a Dan Swanö. Ora, per In Service of the Dead, avete deciso di lavorare con Noah Buchanan. Come avete affrontato il processo di produzione per il nuovo album e ci sono state sfide o obiettivi particolari che avevate in mente?

Ci è stato suggerito dalla nostra casa discografica, la Redefining Darkness, dato che Noah ha già lavorato su alcune loro pubblicazioni, tra cui l’ultimo album degli Oxygen Destroyer. Noah è stato fantastico ed è stato molto facile condividere con lui le mie idee su come doveva suonare il disco. È anche la prima volta che mi sono occupato del re-amping [un processo di post produzione che serve a cambiare il suono di uno strumento anche dopo che è stato inciso, nda] di alcune delle mie parti di chitarra, in particolare gli assoli, mentre Noah ha riamplificato tutte le chitarre ritmiche. Prima gli assoli erano realizzati con amplificatori software, quindi è stato bello poter usare il suono reale del mio rig [la sua strumentazione composta da chitarra, amplificazione ed effettistica, nda] per gli assoli. Uno dei cambiamenti più grandi nella produzione è stato il modo in cui sono state mixate le chitarre. Di solito mettiamo le chitarre su entrambi i lati del campo stereo, mixate un po’ più basse, ma questa volta le parti armonizzate sono state separate fra sinistra e destra. Dal momento che questo disco presenta più riff armonizzati rispetto ai precedenti, volevo davvero che spiccassero, e facendo così è molto più facile sentirli.

Com’è andato l’ultimo tour con gli Oxygen Destroyer?

Non siamo riusciti a fare l’intero tour con loro, solo il Nordest degli Stati Uniti, che è il nostro territorio. È stato fantastico. Siamo davvero buoni amici con tutti i ragazzi degli Oxygen Destroyer e sono davvero felice per loro che abbiano iniziato ad avere un vero successo ora. Hanno anche un’estetica davvero unica. Dico sempre a Jordan [Farrow, noto anche come Lord Kaiju, nda] quanto sono geloso del fatto che sia riuscito a inventarsi qualcosa di così originale, mentre molte band, compresi i Sentient Horror, insistono ancora con la cosa degli zombie/non morti. Ma sì, sono una band e un gruppo di persone fantastici e spero di poter suonare ancora con loro in futuro.

Il death metal è in costante evoluzione, ma siete riusciti a trovare un equilibrio tra il classico e il moderno. Come vi relazionate alla tradizione del genere e come integrate gli elementi innovativi?

Il death metal è probabilmente il genere di metal più aperto alla sperimentazione e alle influenze esterne e ne ho sempre apprezzato questo aspetto. Ho sempre detto che è impossibile ricreare veramente lo stile “old school” del death metal, perché sto scrivendo questo genere 25-30 anni dopo l’uscita di tutti i dischi del periodo classico. Sono un quarantenne che vive nel New Jersey nel 2024, non un adolescente che vive a Stoccolma, a Tampa o nel Regno Unito negli anni ‘80. Le mie esperienze di vita e la mia cultura sono così diverse da quelle dei musicisti di quel tempo che è davvero impossibile ricreare ciò che hanno fatto. Tuttavia, ho la possibilità di guardare indietro a tutti quei dischi e a tutto quello che è successo da allora, scegliendo i miei elementi preferiti per scrivere death metal per i Sentient Horror. E, poiché sto combinando elementi di molte band diverse, il tutto si unisce in modo organico e unico. Naturalmente lo facciamo con attrezzature moderne e sensibilità di registrazione moderne. Penso che sia per questo che suona ancora moderno, anche se trae principalmente ispirazione dallo stile old school.

C’è una traccia di In Service of the Dead a cui ti senti particolarmente legato o di cui sei particolarmente orgoglioso?

Sono particolarmente affezionato all’ultimo brano del lato A, The Tombcrusher. Mi piace molto come il ponte rallenta e crea un groove, mentre è circondato da un verso e un ritornello davvero feroci. Ma in realtà sono orgoglioso dell’intero album ed è difficile sceglierne una realmente preferita rispetto alle altre.

Com’è stato portare questo album sul palco? Come pensate di adattare le nuove canzoni dal vivo e cosa possono aspettarsi i fan dai vostri futuri concerti?

Scrivo sempre con l’idea che le canzoni verranno eseguite dal vivo, quindi non ci sono mai troppe sovraincisioni o altre cose del genere. Quello che senti nel disco è esattamente come suonerà dal vivo. La vera sfida è inserire tutte le canzoni che vogliamo in una scaletta live. Al momento la norma è una scaletta media di 30 minuti, forse 40 se sei headliner, ed è davvero difficile rappresentare i vecchi album insieme ai nuovi, soprattutto ora che abbiamo quattro album. Ci stiamo concentrando principalmente sui singoli o sulle tracce promozionali e forse su una o due altre nuove canzoni che vogliamo mettere in evidenza.

In In Service of the Dead… c’è un qualche messaggio che va al di là dei tuoi testi? Voglio dire, leggendo alcuni dei titoli delle tue canzoni, come The Way of Decay, Cadaverous Hordes, Glory to the Rotten, sembra che, oltre al caratteristico tema horror, ci sia un cenno ai fan del death metal. Sbaglio, o c’è qualcosa del genere?

Non era questa l’intenzione, ma penso che la tua sia una bella interpretazione. Molto di questo album è stato ispirato dai videogiochi horror, in particolare dalla serie Resident Evil. Alcune canzoni come Undead Mutation o Out of Sanity fanno riferimento ai giochi e a elementi specifici delle loro storie, mentre altre come Cadaverous Hordes sono più genericamente horror. Di solito abbiamo una o due canzoni in ogni disco incentrate sul Necromante, il personaggio creato dal nostro artista di copertina, Juanjo Castellano, per il nostro ultimo disco Rites of Gore. Ho fatto riferimento al Necromante in alcune tracce dei nostri dischi, anche se Juanjo gli ha dato il nome di “Lord of Gore”. È un essere antico che controlla gli eserciti dei morti. Lo citiamo esplicitamente nella canzone Mutilation Day e i testi descrivono l’opera d’arte di copertina creata da Juanjo per questo album.

Lavori con Juanjo Castellano per le copertine dei tuoi album dal 2018, con l’EP The Crypts Below. Qual è il vostro rapporto artistico? Chi sceglie i soggetti delle illustrazioni?

Juanjo è super talentuoso ed è fantastico lavorare con lui. Io scelgo il titolo dell’album e una specie di soggetto, ovvero una descrizione di ciò che penso il titolo rappresenti. Siccome scrivo i testi dell’album per ultimi, di solito appena prima di registrare le voci, Juanjo mi invia almeno un bozzetto, se non l’opera finale, prima che finisca di scrivere i testi. Questo mi permette di fare riferimento alle immagini che ha usato nell’artwork per i testi della title track, anche se, come ho detto prima, stavolta sono i testi di Mutilation Day che fanno riferimento all’opera di copertina.

Qual è la tua formazione musicale, oltre al death metal? Hai altre influenze o ispirazioni specifiche come musicista?

Sono entrato nel mondo del death metal in modo davvero strano, almeno secondo me. Sono cresciuto ascoltando band progressive anni ‘70 come Genesis, Rush e King Crimson grazie a mio padre, che era un fan del genere. Questo ha fatto sì che il primo tipo di metal che ho apprezzato, oltre alle band tradizionali come Iron Maiden, Metallica, etc. che ogni ragazzo ascolta per primo, fosse quello dei gruppi progressive metal come Dream Theater e Symphony X. Da lì sono passato a roba da veri maniaci della chitarra come Yngwie Malmsteen e Cacophony, che adoro ancora oggi, e penso che sia abbastanza evidente nel mio modo di suonare. Comunque, questo è un aspetto importante della mia storia nel death metal, perché quando sono usciti i Necrophagist sono stato subito attratto dal lavoro chitarristico, poiché mi ricordava quei virtuosi della chitarra anni ‘80. Quindi, dopo essermi appassionato al tech death e a un po’ di melodic death metal, ho scavato nel passato e ho trovato Carcass, Entombed, Dismember, Death, etc., che sono stati la mia introduzione al vero death metal old school. Ma amo ancora quel prog anni ’70. Mi piacciono anche il sound del rock classico europeo, come Rainbow, Thin Lizzy e UFO.

E riguardo la lineup dei Sentient Horror? Pensi di avere una formazione stabile ora?

Lo spero! È difficile da prevedere, dato che la vita ci porta tutti in direzioni diverse in momenti diversi. Jon [Lopez, chitarra] è qui dall’inizio ed Evan [Daniele, batteria] è con la band dal 2018, anche se ha preso una breve pausa durante la registrazione di Morbid Realms. TJ Coon è il nostro terzo bassista, è il suo primo album con noi e finora è stato fantastico averlo nella band. È il nostro primo bassista che sia veramente un “bassista.” Non voglio criticare i bassisti precedenti che abbiamo avuto, Ian [Jordan] e Tyler [Butkovsky], ma erano principalmente chitarristi che sapevano suonare anche il basso, mentre TJ studia davvero il basso e si identifica principalmente come bassista. Quindi suonerà e interpreterà i riff come farebbe un vero bassista, e penso che questo aggiunga una dimensione in più al nostro suono.

Molto bene, da ex bassista ne sono felicissimo… Passando ad altro, cosa ne pensi della scena metal underground statunitense?

Penso che sia in ottima salute in questo momento. Quest’anno in particolare ha visto un sacco di nuove uscite fantastiche. Sono anche entusiasta di vedere alcune di queste band, che hanno iniziato su etichette più piccole, essere prese da etichette più grandi come Century Media e Nuclear Blast, dato che questo può solo portare più fan alla scena old school.

… e della scena metal underground mondiale?

Conosco un po’ meno come stia andando la scena a livello mondiale, poiché la maggior parte delle nuove band di cui sento parlare sono tutte statunitensi, anche se faccio parte di un progetto internazionale in studio chiamato Heads for the Dead guidato da Jonny Petterson [Wombbath, Rotpit, tra gli altri], e Ralf Hauber [Revel in Flesh], poi alla batteria c’è Jon Rudin [da poco nei Massacre]. È molto divertente per me perché in quel progetto sono solo il chitarrista solista, quindi mi inviano le tracce e io posso sperimentare nuove cose che forse sarei riluttante a provare nei Sentient Horror. È stato come un progetto di ricerca e sviluppo per i miei assoli di chitarra. Le cose che invento per gli Heads che mi sembrano davvero fighe ispirano quello che faccio dopo con i Sentient Horror. Il nostro quarto disco è attualmente in fase di mixaggio e penso che sia il migliore che Jonny e Ralf abbiano scritto finora. Mi sono davvero messo alla prova, con un sacco di armonie e assoli doppi che non ho modo di fare nei Sentient Horror. Penso che uscirà all’inizio del 2025. E come bonus per i fan dei Sentient Horror, anche Evan ha suonato la batteria in quell’album!

Hai qualche pensiero finale che vuoi aggiungere o messaggio per i tuoi fan?

Grazie mille per aver letto questa intervista! Non vediamo l’ora che tutti ascoltino il nuovo album In Service of the Dead, poiché credo che rappresenti il suono definitivo dei Sentient Horror. (Stefano Mazza)

Un commento

  • Avatar di Fredrik DZ0

    bella intervista per una band che per ora sta migliorando di volta in volta. l’ultimo album è superlativo, e anche la produzione e i suoni sono molto migliorati rispetto al pur sempre ottimo rites of gore.

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