Avere vent’anni: KING CRIMSON – The Power to Believe

Sono passati vent’anni dall’ultimo album dei King Crimson i quali, nonostante una rilevante attività concertistica, numerosi progetti paralleli, un’interessante lavoro di archivio e i video semitrash delle cover domenicali di Fripp e della moglie Toyah – che a quanto pare costituiscono un antidepressivo naturale per il chitarrista – non hanno mai più pubblicato un album di inediti. Inutile dire quanto tale circostanza rappresenti una grave perdita, perché, se c’è un gruppo che non ha mai amato ripetersi e che ha saputo costantemente reinventarsi senza mai inflazionare il mercato, quelli sono i King Crimson.

The Power to Believe rappresenta tanto la meta naturale di un percorso intrapreso a partire da THRAK in poi e costruito molto sull’attività live (tanto è vero che gran parte dei brani che compongono l’album sono stati plasmati nei concerti degli anni precedenti) quanto l’ennesima evoluzione di determinate sonorità che i Nostri avevano iniziato a costruire, una miriade di formazioni prima, da Lark’s Tongue in Aspic in poi.

Una tranquilla domenica pomeriggio in casa Willcox-Fripp.

Una tranquilla domenica pomeriggio in casa Willcox-Fripp

È l’album più pesante della band, tanto da aver portato qualche commentatore dell’epoca a parlare di metal (ovviamente una sciocchezza, anche se il break di Elektrik ti fa saltare sulla sedia ogni volta), uno di quelli più cerebrali, alla stregua dei passaggi più complessi dei suoi due predecessori. Un album senz’altro non complesso e, se si eccettuano la notevole Eyes Wide Open e il singolo Happy with What you Have to be Happy With, entrambi presenti sull’EP che ha preceduto il disco di qualche mese, di non facile assimilazione. Sono pochi i ritornelli che ti si stampano in testa e ancor meno le linee melodiche facilmente “seguibili” ma, se ci si addentra nelle composizioni dell’album, quest’ultimo, come sempre, regala soddisfazioni.

Perché la capacità dei King Crimson è quella di essere sempre e comunque estremamente interessanti, indipendentemente dalla formazione, dal genere, dalla produzione, dal tipo di composizioni sulle quali vuole concentrarsi Fripp. Salvo che vi sia un netto rifiuto verso il genere – pur essendo i Crimson uno dei gruppi più trasversali del progressive, anche a livello di pubblico – la parola noia è bandita da qualunque pubblicazione della band.

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E The Power To Believe non fa eccezione, sia quando si scelgono atmosfere più dissonanti, come in Facts of Life, sia quanto si opta per atmosfere più dilatate e sperimentali, come in The Power to Believe part 2 o Dangerous Curves. Anche nei brani che sembrano più codificati, più incasellabili in un determinato genere o mood, salta fuori la sorpresa, la svolta che non ti aspetti e che, fondamentalmente, “ti frega” anche dopo vent’anni e svariati ascolti. In tal senso la summenzionata Dangerous Curves è davvero perfetta: una sinfonia elettronica estremamente classica che, man mano che passano i minuti, si apre a un crescendo inizialmente impercettibile che diventa sempre più fragoroso. Sotto il profilo dei suoni e della interpretazione ovviamente è inutile spendere parole, perché al netto di una certezza freddezza che contraddistingue le ultime uscite degli inglesi – salvo qualche momento più sporco di matrice blues presente in The ConstruKction of Light – siamo di fronte alla solita inappuntabile perfezione.

Rispetto al passato più prossimo troviamo un’ulteriore estremizzazione nell’attenzione di Fripp verso i suoni e i riff, più che nelle “canzoni” in senso classico del termine, ma senza forzature estreme sul lato sperimentale, approfondito, invece, in progetti paralleli di Fripp. Un lavoro quindi ancora una volta sorprendente di una band che si è affacciata sul mercato solo quando aveva davvero qualcosa da dire e che in oltre cinquant’anni di attività non ha mai sbagliato un colpo.

Insomma, come dicono oggi i gggiovini, sciapò (sì, adesso lo scrivono anche così). (L’Azzeccagarbugli)

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