Violent Creed of Vengeance, la carica delle Amazzoni secondo gli SMOULDER

In certi campi, più che la tecnica, i suoni settati bene, le doti compositive, conta più ancora il FOMENTO (gli altri campi mi interessano molto poco). E non basta crederci tantissimo, sentirsi un crociato in marcia per la gloria del Metallo. Ci devi far sentire gli ascoltatori. E questo agli Smoulder, che pure non difettano molto in quanto agli altri aspetti, riesce decisamente bene. Con un’offerta piuttosto affollata in campo NWOTHM, persino sul versante epico (forse un po’ meno), ti scrolli di dosso la concorrenza di dozzine di gruppi effimeri che hanno ormai di partenza le stesse opportunità di farsi sentire su YouTube o altro.

Non avevamo però dubbi che gli Smoulder avrebbero messo una certa distanza tra loro e gli inseguitori. Perché l’album d’esordio era già una gran bella cosa e l’Ep successivo confermava le ragioni per l’entusiasmo. Cruz Del Sur continua poi a crederci e fa uscire Violent Creed of Vengeance a distanza di un mese dall’altrettanto atteso ritorno dei Gatekeeper. Sempre canadesi, sempre heavy metal epico e tradizionale. Non ingozziamoci troppo. Confermato anche Michael Whelan come autore della copertina, che ormai la discografia dei Nostri pare pure una mostra del celebre artista americano. Stavolta poi è particolarmente bella e in tono con l’album. Trasmette un senso di violenza, apocalisse, e lussuria tutto assieme. Niente di meno. Non chiediamo niente di meno.

E Violent Creed of Vengeance trasmette su per giù quelle cose lì. Violenza heavy metal tanta, tantissima, che la componente doom è sfruttata in realtà solo quando serve tirare un po’ il fiato e dare dinamica all’ascolto. Mezzo disco o più è condotto a velocità elevata, mazzate a destra e sinistra. The Talisman and the Blade in questo è esemplare: magnifica, brillante e guerresca, nell’incipit, poi lancia in resta e via. Una vera e propria carica di Amazzoni. È questo il fomento di cui si parlava. Quello che a Sarah Ann, la cantante, non manca affatto. Anche se, come dice giustamente il Tola, non è che abbia doti vocali speciali. Però ci crede e questa cosa te la trasmette e ti trascina. Ora, siccome ho fatto le pulci al gran bel disco dei Gatekeeper di un mese fa (sottolineo: gran bel disco), è questo il fomento che manca per lo più a From Western Shores, suonato bene, scritto bene, registrato bene, orchestrato bene. From Western Shores assomiglia all’armata di Renly Baratheon. Violent Creed of Vengeance, che so, già più a quella di Mance Rayder. Poi è questione di gusti, quale dei due si preferisce. Oh, che bello il lusso di scegliere tra due dischi così. Anzi, chi sceglie, li prendiamo tutti e due.

Altra cosa che proprio non manca in Violent Creed of Vengeance è proprio quel senso di dramma, dall’inizio alla fine, di nubi cupe, di armate nere all’orizzonte, di incertezza dell’esito finale dello scontro. Il sole rosso tra le nubi grigie di Whelan. Il colmo di quel senso di fatalità estrema che si respira nel coro di Victims of Fate (credo che praticamente tutto il corredo lirico sia un omaggio a Michael Moorcock), che non è difficile scegliere come il momento migliore del disco. Forse. Perché pure l’andamento di Path of Witchery, l’alternanza tra veloce e lento, forte e piano (mica tanto), si farà ben ricordare. Comunque merito mica solo della cantante canadese (ora in Finlandia), ma pure dei quattro musicisti sparsi tra tre Paesi. Che suonano coesi, duri, tecnici il giusto, non molto di più, ma serrati. Produzione buona potente, eco che confonde un po’ la definizione dei suoni. Cosa giustissima, per me. Gran disco di Metallo vero, questo qua. (Lorenzo Centini)

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