Una chicca dal Giappone: ASUNOJOKEI – アイランド (Island)

Anche i giapponesi Asunojokei (明日の叙景 in lingua originale – ve ne ho già parlato in passato) benedicono questo tormentato 2022 con un nuovo disco. Se già non l’ho detto lo faccio qui: il primo disco わたしと私だったもの (Awakening) fu il mio top album del 2018 anche perché contiene quell’autentico delirio musicale chiamato Bashfulness of the Moon, l’unico luogo al mondo nel quale si sono incontrati black metal, post-black, post-metal, post-hardcore, shoegaze e qualche reminiscenza di speed metal tutti in una volta, tirando fuori circa dodici minuti di musica a stento riconducibile a questa Terra. Più o meno tutto il loro primo album è così, dopo hanno inciso altri tre dischi (due split e un EP) nei quali hanno cercato di far evolvere un suono unico ma che – cessato l’effetto sorpresa – non so dove avrebbe potuto portare. Forse nel campo del noise, dato che i giapponesi sono maestri in quel settore di grindcore evoluto con sonorità acidissime e disturbanti, ma questo non ci è dato saperlo perché oggi gli Asunojokei, nel loro secondo album, suonano un tipo di musica completamente diversa. Tolti i due brevi intermezzi Gaze e Tidal Lullaby lo shoegaze è sparito e il post-black anche, o perlomeno ne rimangono pochissime tracce.

La voce, che prima era paragonabile al gessetto fatto stridere sulla lavagna, adesso è impostata sull’hardcore più netto, magari con qualche influenza di screaming black ma neanche più di tanta. La musica è diventata più associabile al melodic black tecnico (prendete ad esempio Footprints, il batterista cambierà tempo 100 volte in sei minuti), veloce e teso, nel quale si ritrovano costantemente richiami al thrash, allo speed, a chitarroni swedish melodeath (vedasi Diva Under the Blue Sky). Un cambio di stile che in principio spiazza, perché, se non fosse per il timbro vocale particolare di Daiki Nuno, si farebbe oltremodo fatica a riconoscere uno dei gruppi che io reputo autori di musica davvero originale, praticamente imparagonabile a quella di qualsiasi altro gruppo sul pianeta, come sono stati in un recente passato i nostri giapponesi. Un po’ mi dispiace, ecco; pensavo che avrebbero percorso più a lungo questa fase sperimentale che me li ha fatti adorare sin dal primo ascolto, ma il loro percorso creativo li ha portati su strade diverse.

Così nelle nove tracce effettive dell’album trovano gran spazio melodie ed armonie tipiche di un certo metal evoluto, molto ma molto più accostabile al techno/thrash/death (cazzo, in Beautiful Name sembrano gli Atheist! Tolte le voci, ovviamente) che non a quell’incredibile patchwork di generi che è Awakening. Non che la cosa non funzioni, perché i pezzi sono tesi, suonati alla grande, memorizzabili, scorrevoli a manetta e di assoluto livello. Inoltre, man mano che il disco incede, i pezzi si incattiviscono dal punto di vista della velocità: i ragazzi accelerano più e più volte, i blast beat si susseguono ed il nervosismo dei pezzi incrementa.

Leggendo i testi, o meglio leggendo le traduzioni in inglese dal giapponese incluse nello stupendo booklet del CD (come sempre autoprodotto, ufficialmente non limitato ma va’ a sapere quante copie effettivamente esistano), deduco che Island sia un concept album o qualcosa di simile: tutti i pezzi parlano di straniamento, emarginazione, isolamento, misantropia a vari livelli in un linguaggio che – quantomeno nella traduzione inglese – non esito a definire forbito, poi si sa che le lingue orientali comprendono sfumature che noi occidentali fatichiamo ad esprimere senza l’ausilio di lunghe perifrasi. Ciò premesso, ho l‘impressione che stiate pensando che questa recensione sia seminegativa ma no, non lo è. Island è il disco di un gruppo che si pregia di essere in costante evoluzione, che piuttosto che guardare a quanto di buono fatto in passato preferisce pensare a quanto di meglio si può fare in futuro. Un ottimo album, concepito in modo differente perché probabilmente le persone che hanno scritto Awakening in quattro anni sono cambiate e sono stati pure tempi duri, da loro come qui come altrove. Impossibile essere oggi le stesse persone anche solo del 2020, troppe cose sono successe ed è quasi tutto merda. Se sei un artista che sguazza in ambienti musicali estremi ed inusuali è impossibile che tu non ne venga influenzato in un modo o nell’altro. Casomai ci volessero altri quattro anni per ascoltare un loro nuovo disco probabilmente ci troveremmo dinnanzi a qualcosa di completamente diverso, ancora una volta. Progressione, maturazione fatta con cervello e sagacia, non alla cazzo di cane come hanno fatto i Sepultura dopo Arise. Gli Asunojokei sono artisti eclettici, poco propensi a ripetersi, eppure qualunque composizione scrivano suscita ammirazione. Non mi sembra che questo sia un difetto, per niente. (Griffar)

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