PENTAGRAM // THE ATOMIC BITCHWAX @Traffic, Roma, 05.08.2022

Le persone normali vanno a vedere Top Gun Maverick, guardano Tom Cruise che a sessant’anni ne dimostra quaranta, si sentono inadeguate per cinque minuti, poi scrollano le spalle e si dicono vabbé, quello è miliardario, non tiene un pensiero al mondo, ha a disposizione dieci cuochi e venti personal trainer mentre io non posso manco andare a calcetto domani che c’è il saggio di danza di Gianfilippa. Poi si alzano, fanno una scoreggia e si dirigono in cucina per fare scarpetta con la sugna della carbonara. I metallari vanno a vedere i Pentagram e guardano Bobby Liebling che a quasi settant’anni, dopo essersi iniettato eroina pure nel duodeno, dopo essersi pippato anche le nevi del Kilimangiaro, il tutto fumando 186 sigarette al giorno, non solo è ancora vivo ma sta in piedi, si muove, canta, e pure bene. Qua per non sentirci inadeguati a sessant’anni dovremmo minimo stare come Tom Cruise quando ne aveva quaranta.

Magari Bobby è stato fortunato con i geni. Qualche anno fa avevo letto un reportage su Spin dove veniva intervistato anche suo padre, descritto come un arzillo novantunenne che in passato era stato consigliere di Nixon. La mia idea è che i limiti fisici della vecchiaia, aggravati da decenni che definire di autodistruzione è un eufemismo, lo abbiano portato a darci un taglio almeno parziale per non restarci secco e che ciò gli stia consentendo, per la prima volta nella sua vita, di avere lucidità sufficiente a gestire una band che sarebbe potuta diventare molto, molto più grande se Liebling non avesse avuto come priorità le droghe. I Pentagram esistono da mezzo secolo ma hanno iniziato a fare date in Europa solo di recente. Credo non fossero mai venuti a Roma. O addirittura in Italia.

I The Atomic Bitchwax sono l’unico gruppo di supporto ma alzano un muro di suono che vale per quattro. In giro dai primi ’90, legati a doppio filo con i Monster Magnet (con i quali condividono o hanno condiviso svariati membri), salgono sul palco e aggrediscono con un’esplosione di watt un pubblico già piuttosto consistente, considerando il periodo vacanziero. Il trio del New Jersey ha un piglio retrò, figlio del rock psichedelico americano degli anni ’60, e le sonorità poderose delle derive più moderne dello stoner. Attaccano con la micidiale doppietta Hope You Die/ Ain’t Nobody Gonna Hang Me In My Home, tratta dall’esordio, e ci riversano addosso un’ora abbondante di assoli rutilanti, batteria pesantissima e riff vigorosi snocciolati da Garrett Sweeny come se fosse il suo ultimo giorno sulla Terra. I suoni stasera non sono il massimo ma l’esibizione è maiuscola, trascinante e gagliarda.

I presenti sono quindi già riscaldati a dovere quando è il turno degli headliner. Si parte da Run My Course, dal debutto omonimo, uscito quasi 15 anni dopo la nascita ufficiale della band, quando il treno era già passato da un pezzo e i ragazzi volevano solo spaccarsi le orecchie con il thrash. La via americana al Sabba, se imboccata prima dal punto di visto discografico, avrebbe forse garantito un destino differente a un gruppo che vanta una delle maggiori proporzioni inverse tra status nella scena e risultati raccolti. O forse, dopo un paio di dischi di successo, Liebling sarebbe morto subito potendo acquistare stupefacenti in quantità più sostanziose.

E invece Bobby è ancora qui, sciamanico e dinoccolato, che ci ipnotizza con quegli occhi spiritati, salmodiando con scioltezza le liriche di classici come Starlady e The Ghoul. Un recente stiramento a un ginocchio mi costringe ad assistere a buona parte dell’esibizione da lontano, in fondo al locale, sulle poltrone vicino al bar. Un po’ una beffa, dato che è l’ultimo concerto di un’annata post-Covid durante la quale ho visto, mio malgrado, pochissima roba. E pensare che ero partito con propositi bellicosissimi, poi infrantisi contro impegni di lavoro mai così intensi e pesanti per via di quella piccola disputa di confine tra Mosca e Kiev, che è poi la principale ragione per cui ultimamente non scrivo una mazza.

La scaletta privilegia il debutto e tralascia alcuni album (ma non l’ultimo, e notevole, Curious Volume, da cui viene pescata l’incalzante The Devil’s Playground). A parte Bobby, il resto della band è composto da ragazzi più o meno nuovi. Non c’è più da un paio d’anni Victor Griffin ma al basso è rimasto suo nipote Greg Turley, pelato carismatico che compone con Pete Campbell, passato anche nei Place of Skulls dello stesso Griffin, una sezione ritmica solida ed efficace. Il vecchio stregone non sembra faticare, anzi, è tutto francamente perfetto. Tra i picchi una splendida versione di Be Forewarned, dall’incedere orrorifico. Quando i Pentagram ci lasciano con l’accoppiata Forever My Queen/ 20 Buck Spin rimuginiamo su come essere metallari ci manterrà pure giovani ma ci mette davanti a termini di confronto improponibili per quanto riguarda l’invecchiamento. Liebling sta meglio di tutti noi, osserva Enrico, dopo essersi appropriato della scaletta con la consueta maestria felina. Ora, però, facesse anche la pace con Victor. (Ciccio Russo)

scaletta_pentagram_roma

3 commenti

  • appena ho visto la foto dei Pentagram a Piombino mi sono ricordato il colore dell’acqua del porto e ho pensato “che coraggio fare il bagno proprio lì….”. Poi, ripensando alla vita di Bobby Liebling, ho capito che quel tipo potrebbe iniettarsi l’acqua delle fogne di Calcutta e al massimo farebbe un paio di starnuti. A quanto sembra dai video in rete negli ultimi anni canta pure bene.
    Se non sono troppo impiccione, che lavoro fai Ciccio? A me pure la disputa di confine ha complicato il laovro, importo materiale elettrico ed idraulico dall’Italia.

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  • Per chi non resta in città e magari si spara un viaggio in macchina verso lidi vacanzieri:

    Una cosetta giapponegra molto gradevole. Ovviamente se vi piace il post-black metal/black-gaze/screamo.
    Discone.

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