La finestra sul porcile: POCAHONTAS CONTRO PREDATOR

Ho cessato di nutrire aspettative sulla saga di Predator non appena si prese a trattarla col piglio tipico degli spin-off e del dozzinale cinema d’intrattenimento. Il film di Nimrod Antal, per intenderci. Fu però Shane Black a darmi il colpo di grazia, e toccò proprio a me scriverne quattro anni fa. Shane Black, sceneggiatore di Arma letale nonché prima vittima fisica del capolavoro del 1987, tentò in qualche modo di donare ancora una volta a Predator l’essenza del film ad alto budget destinato a sale straripanti di spettatori. E fallì miseramente, riscrivendolo daccapo su ripetute pressioni della casa produttrice, folli tentativi di stare alla larga dal Rated R in un film su gente che esplode colpita da cannonate aliene, e bambini autistici che premono bottoni innescando l’arrivo delle loro minacciose astronavi. Venne fuori un filmetto di supereroi, in tutto e per tutto, scontro fra mostri incluso. Dunque, nell’estate dello stop alle innaffiature dei giardini, di Nope e di Crimes of the Future, cosa cazzo dovrebbe mai fregarmene di Predator 5?

Ricapitoliamo:

  1. Non esce al cinema ma straight-to-video via Hulu, Star e infine Disney+
  2. Non fa leva sulla colonna sonora originale, il che puzza di risparmione sui diritti.
  3. Non fa leva sulla fisionomia originale del mostro, il che puzza di risparmione sui diritti.
  4. Se nel film comparisse il pullman della Juventus e il mostro dovesse decimarli, la Juventus si chiamerebbe FC Biancoturin e in porta avremmo Matteo Peron, il che puzzerebbe di risparmione sui diritti.

Atteggiamenti del genere abbinati alla saga d’un film che ha fatto la storia del cinema fanno rimpiangere persino il sequel di Shane Black, poiché su certe cose non si badò a spese. A fronte di buone intenzioni, nel lungo periodo io riesco a perdonare persino un film di merda come quello. Ma non il cinema d’intrattenimento usa e getta.

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Prossimamente su Brazzers

In pratica, Prey è uno spin-off pronunciato a voce bassa. Dal regista di Cloverfield Lane, dice il teaser. Dal regista di uno spin-off di discreta fattura, come se facesse curriculum. È evidente che, con la merda dozzinale che esce oggigiorno, una roba del genere faccia eccome curriculum.

Mi accingo dunque a raccontarvi la mia personalissima esperienza con quello che, a detta degli haters, avrebbe potuto intitolarsi Pocahontas vs. Predator. Le recensioni preventive gocciolavano di un tale entusiasmo da ricordarmi quando spalanchi la finestra e in strada, la tua strada, ci sono parcheggiati tre camion degli spurghi che pompano a pieno regime. “Il migliore dopo quello con Schwarzenegger”, addirittura. In realtà è una gara persa a prescindere pure col secondo capitolo, quello con Glover e Paxton. Film del genere non riescono più per il semplice fatto che ogni sceneggiatore dovrebbe scriverli con la testa infarcita da preconcetti reaganiani, inducendo il cinefilo ad arruolarsi nell’esercito per mitragliare il Nemico un attimo dopo la visione; al contrario, oggi, gli sceneggiatori si preoccupano di non trascurare invalidi, pansessuali e minoranze d’ogni sorta anche qualora si stia scrivendo il remake de I guerrieri della palude silenziosa. È dura godersi un cinema ridotto così.

Andrò di spoiler, tanto il film è prevedibile come tutti quelli che escono oggi.

predator_prey

A combattere Predator è una giovane guerriera comanche che a inizio film ha serie difficoltà a cacciare cervi e conigli. A metà film le prende da un coglione della medesima tribù ma poi gliele restituisce. A fine film è l’equivalente di Lo Lieh in Cinque dita di violenza. Capite che il qui presente ed evidente problema non è che la protagonista sia esile e donna, ma che lo script sembra redatto da un Orango che lancia le sue feci addosso ai colleghi negli uffici della 20th Century Fox?

Il primo Predator funzionava perché a fronteggiare il combattente perfetto erano i migliori, e, fra questi, a loro volta, sopravviveva il più forte. Colui che si dimostrava in grado di organizzare una resistenza e una controffensiva con ogni mezzo a sua disposizione; a pianificare un’uccisione sulla carta impossibile. La triste storiella di far risaltare la forza nella debolezza (la guerriera a cui i compagni di tribù avevano sinora negato la possibilità di combattere) è una puttanata da cui Hollywood dovrà prima o poi scegliere d’uscire. L’escamotage di rimarcare a tutti i costi quanto la comanche fosse astuta è a sua volta una puttanata, perché per mezz’ora mi hai fatto vedere che le scappavano i cervi e i conigli. Oltretutto, nel farlo mi fai capire con cosa l’Essere sarà volgarmente trucidato una mezz’ora abbondante prima che ciò accada. Nessuno fra i comanche e i coloni francesi (mostrati in modo quasi vignettistico) ha alcuna chance di sopravvivere a fronte di un essere così dotato ed equipaggiato. Mi soffermo per un attimo sul suo, di equipaggiamento: per prima cosa spara dei dardi letali, facendoci capire che questo Predator è tecnologicamente meno avanzato di quello che vedremo nel 1987; il che giustifica in un certo senso le possibilità di batterlo da parte dei guerrieri comanche. Poi inizia a tirare fuori cose assurde tipo droni esplosivi e altri bei giocattoli a cui nel 1987 rinuncerà. Un Orango strafatto negli uffici della 20th Century Fox.

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Come ben saprete Predator muore malissimo in tutti i suoi film. Sarebbe l’ora di smetterla con questo concetto, e di mostrarci piuttosto l’orribile fine di Jim Hopper e dei suoi allenatissimi uomini nella fatale giungla di Val Verde pur di restituire alla saga una parvenza di credibilità.

La computer grafica di questo film, pur non facendo schifo, è utilizzata ai limiti del concetto di abuso. Lo si capisce fin da subito, non appena una freccia abbatte un rapace le cui grinfie sono serrate sulle carni di un salmone appena predato. I combattimenti sono ridicoli, frenetici, danzerecci. Il video di Ratamahatta. Le morti non generano alcuna empatia. Ogni morte del primo film pagava un’estenuante attesa culminante con quello specifico evento. Eccetto per Carl Weathers, crepato pressoché in coppia, alle morti di Predator arrivavi perdendo personaggi ai quali ti eri affezionato come fossero i tuoi stessi commilitoni. Perché per un’ora e mezzo avevano pronunciato Le frasi perfette. Non ho tempo di sanguinare. Hai tiempo de scansarti? Nessuno dimenticherà mai quelle frasi, è il potere (o strapotere) dei film americani nel periodo dell’orgoglio americano. La gente che crepa in Prey crepa in rapida successione a gruppetti di cinque o sei persone mandate contro un alieno a subire un rapido e specifico trattamento pur di spettacolarizzare. Sapete infatti cosa mi è piaciuto di Prey? La prima parte, in cui l’alieno approccia al nostro mondo cazzeggiando coi serpenti, i lupi (bello lo scontro in campo aperto con quest’ultimo) e gli orsi. A proposito, Predator si concede uno splendido corpo a corpo con un orso e la comanche ne è testimone ravvicinata. L’orso crepa malissimo. Cosa cazzo vai a tua volta in corpo a corpo con una roba del genere facendo persino la ganzina? E perché non finisci triturata all’istante?

Prey-predator

Prey è un film fatto male e mi dispiaccio nel constatare che la critica l’abbia così apprezzato in virtù di un paio di scene di tensione (ai confini del bosco e nella nebbia) capaci di instaurare quel minimo di attesa e di timore degli eventi che si verificheranno, il che, effettivamente, era latitante dai tempi di Schwarzenegger che avanzava oltre le trappole attive mentre Bill Duke si scorticava col rasoio usa e getta. Prey si regge su quelle due scene. Il mostro è brutto. I personaggi – protagonista inclusa – non sanno di niente (all’accampamento però c’è un anziano che pare Tom Araya) e al fratello di lei, l’unico con un briciolo di physique du role, non è concessa la necessaria visibilità. Fra i francesi c’è un tale con una gamba sola che assomiglia a Lucas Paquetà, esubero al Milan, oggi fenomeno al Lione. Gli scenari non rendono quasi mai l’idea della bellezza e della pericolosità degli ambienti. Il bosco sembra tutto un agile sentiero da trekking tipo quelli che partono dalla Fonte dei Seppi a Morello, meta dei camminatori fiorentini della domenica, cardiopatici inclusi. Ma torno ai combattimenti, frenetici, mai plausibili, talvolta alla Matrix: uniti al fatto che vediamo continuamente comparire questo cazzo di mostro ne risulta la parte peggiore e quasi antiestetica di Prey. Un film che se la gioca al massimo col terzo capitolo di una saga morta e sepolta, e che, stavolta, per qualche motivo, ha fatto sbrodare nelle mutande decine di giornalisti del settore. Siete come Calenda. Siete come Renato Sanches. Avete pure sbagliato il teaser poster perché sembra un facial venuto malissimo.

E ora su il telefono. Chiamate l’Orango. Ditegli che è tempo di scrivere il sequel di questa pletora di cazzate e di morti in sequenza che manco hanno fatto uscire al cinema perché il quarto fece schifo pure alle poltroncine. Fanno sei al prossimo, di cui due riusciti e uno Immortale. Ambientate il prossimo in una scuola americana con gli M-60 montati sulla carrozzina del bullizzato in odor di rivalsa, o in una spiaggia LGBT dove lo adescano e lo catturano e gli fanno cose. O nella San Casciano dei primi anni Ottanta, dove tre arzilli uomini di mezz’età gli faranno capire d’essere capitato nel luogo sbagliato. Ma per una volta, per favore, fate vincere quel disgraziato di un alieno: è lui la minoranza da tutelare, lo state bullizzando lì alla 20th Century Fox. (Marco Belardi)

4 commenti

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  • Il film ha i suoi bei problemi, che non hai mancato di cogliere. Eppure di tutti i sequel è l’unico che non mi ha annoiato un secondo e che appena finito avrei rivisto volentieri. Conto di farlo appena possibile. Non è minimamente all’altezza del primo, ma è divertente e coinvolgente. Di tutti i difetti, l’unico che mi ha causato disconfort durante la visione è la scarsa qualità della CGI degli animali, orso in primis.

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  • Il prossimo Predator lo ambienterei in qualche riunione dello staff tecnico del Torino. La colonna sonora, però, dev’essere approvata da Juric, che è dei nostri.

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  • Umoristico e spietatamente sincero!

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