Avere vent’anni: ROBERT PLANT – Dreamland

Vent’anni fa stavo andando in vacanza in campeggio con gli amici per la prima volta, in Salento, e, terrorizzato dalla prospettiva di due settimane di pizzica che avevo davanti a me, avevo masterizzato un CD con No Easy Action, The Empty Page, How Near How Far e Morning Dew, nella versione di Robert Plant. Che all’inizio manco sapevo fosse una cover e mi aveva fulminato. In fin dei conti la prima volta che ho sentito la sua voce non era nei Led Zeppelin ma con la cassettina di Fate of Nation che girava per casa, e il piatto forte era If I Were a Carpenter. Ero poco più di un bambino e che anche quella fosse una cover l’ho scoperto col tempo. Per entrambe comunque ringrazio Plant, il primo ad avermele cantate. Oggi su Spotify ho delle playlist in cui ne raccolgo tutte le versioni mai registrate, che sono brani splendidi, di quelle gemme che uscivano solo nei ’60. Dreamland è di fatto un disco di cover di un vecchio dinosauro. C’è anche Song to the Siren, che se sei Plant in effetti puoi permetterti di cantarla e di trovare qualcuno che la vesta di un arrangiamento degno.
Un vecchio dinosauro, dicevo, il Plant di 20 anni fa. Non so se avete presente quella recensione di Lester Bangs in cui a un certo punto impazzisce e inizia a descrivere minuziosamente tutte le cosette zozze che avrebbe fatto con Cherie Currie delle Runaways. Oggi non puoi più scriverle, ‘ste cose qua. A un certo punto Bangs se la prende proprio con Plant, che mi sa aveva avuto una tresca con la biondina. Gli affibbia un paio di quegli epiteti che oggi non conviene più scrivere, manco per citarli. In fondo però neanche a me piace il giovane Plant. Non dico come cantante, anche se a volte vorrei gemesse meno. Dico come personaggio. Narciso, cotonato, appariscente. Poi per fortuna non ha fatto come Huges e Coverdale: ha scelto di invecchiare assomigliando non a sua suocera ma al vecchio saggio dell’interno della copertina del senza nome degli Zep, quello con la lanterna. Vent’anni fa Plant aveva già il fisique du role del vecchio dinosauro saggio. Quei vecchi avventurieri che ne hanno viste di tutti i colori in mille porti e che non sorridono più tanto. Almeno non a cazzo. Dreamland è essenzialmente un disco di cover, dicevo, di originali ce ne sono uno o due, manco così rilevanti. Un disco folk rock e blues senza troppa infamia né lode, a parte Morning Dew.
Alcuni anni dopo fece un disco che mi piacque di più, quello con la conchiglia in copertina. Era un disco più folk ancora, orientale, molto bello. Era disponibile in ascolto sull’aereo che mi portava in Arabia. Non avevo vissuto manco un’unghia delle avventure di Plant, nel frattempo incanutitosi ancora di più, ma sentivo di andargli incontro ad una velocità parecchio alta. Come decadimento, mica come carisma, che pensate. Certo che se pensi come accelerano le cose e ti ritrovi ad essere diverso e conti gli schiaffi presi ti viene da essere un po’ giù. Vorresti maturare la saggezza del Drugo nel finale di Big Lebowski. “Qualche strike, qualche palla persa“. Ora è diverso, ma per anni ho contato principalmente palle perse. Invece per me Plant di quella scena è sia il Drugo sia il cowboy. Il punto è che quando io avevo diciassette anni speravo di essere come lui quando avrei avuto anche io cinquant’anni. Oggi ne ho trentasette e vorrai già essere come lui a settanta. Che poi, se a dodici anni preferivo If I Were a Carpenter a Livin’ la Vida Loca c’era da aspettarselo. (Lorenzo Centini)
Dato che hai citato più volte la canzone “If i were a carpenter”, mi sembra giusto portar tributo anche al mitico Leslie West visto che anche lui ne fece una sua versione (molti anni pprima!).
https://www.youtube.com/watch?v=EjXmrBFOhqM&ab_channel=SOUTHERNREBEL
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