Fartwork : MAGNUM – Vigilante

Buonasera a tutti, cari principini con la puzza sotto al naso, e benvenuti in un nuovo ed avvincente episodio di Fartwork, la rubrica di Metal Skunk sulle copertine fatte con le mani bagnate incastrate in una presa di corrente.

Tanto tempo fa, nel regno di Anniottanta, non c’era ancora la crisi e, durante l’inverno, i re, i principi e i nobili erano soliti radunare le loro numerose famigliole a bordo di lussuose carrozze e partire per un dispendioso weekend di relax sulle montagne.

Dopo aver praticato le più disparate e divertenti attività sportive (una di queste consisteva nel prendere un servo, stenderlo per terra con le braccia lungo i fianchi, sedercisi sopra e scendere in picchiata per la discesa innevata… lontano e nobile parente del moderno e proletario bob, a quanto dicono gli storici), i papà e le mamme portavano talvolta i figlioletti alle giostre, per farli svagare ancora un po’.

Ogni villaggio di montagna aveva le sue giostre, ma le più belle di tutte erano quelle del villaggio di Taaaac (scritto proprio così, con quattro a).

Frequentato principalmente dai re e dai principi, ma anche dai più alti ranghi della nobiltà, Taaaac aveva la particolarità (oltre a quella di avere già il Wi-Fi) di possedere una giostra tutta rosa, con vista sulle cime nevose più belle di Anniottanta, composta da soli unicorni purosangue fatti a mano dai migliori artigiani del regno, che giravano in tondo sulle note di qualche musichetta eseguita obtorto collo al pianoforte da un servetto, non retribuito ma che aveva la fortuna di avere vitto (del minestrone riscaldato della sera prima) e alloggio (un gabinetto mobile di legno) gratuiti per tutto l’inverno a spese del noto comune montano… sempre meglio che essere usati come slittino, mi direte voi.

Insomma, un bel pomeriggio dicembrino, il principino Goffredino da Val Scassatemele, rotondetto, puzzolente e viziato bambino di otto anni erede al trono di Scassatemele, si trovava per l’appunto lì a Taaaac col padre e la madre; e dopo mille insistenze, nonostante avesse già mangiato lo zucchero filato, cavalcato più di due servi per le discese innevate e orinato sul montone della proprietaria della locanda extralusso dove alloggiavano, costrinse i genitori a pagargli un giro di dieci minuti su quelle belle giostre, invidiabili ed esose persino per le tasche di un re e di una regina.  

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Goffredino era euforico e smanioso: il padre neanche aveva messo mano al portafoglio che lui era già saltato su uno degli unicorni, ordinandogli, col fare di un generale arrogante, di partire al galoppo.

“Parti, avanti, parti! Perché non parti?!?!”,  urlava Goffredino sulla sua giostra, scalciando e dimenandosi.

Il giostraio di quel giorno, un ragazzetto povero di nome Makekaz, secco, malnutrito, orfano di padre, madre, nonni e zii, fissava Goffredino da lontano con una crescente insofferenza.

Ehi giostraio!!! Giostraio, vieni qua, accendi questo coso! Su, forza, voglio partire!”.  

Makekaz scese dalla staccionata dov’era seduto e si avviò mesto verso la leva d’accensione della giostra.

“Ecco, bravo pezzente, sbrigati! Oh ma sei lento eh!”,  sbraitò nuovamente Goffredino.

A quel punto Makekaz si voltò di scatto verso il principino, digrignando i denti e con gli occhi fiammeggianti: va bene un po’ d’insistenza, va bene essere chiamato pezzente, va bene sbrigarsi, ma lento no… lento era troppo, lui non era lento, al suo paese era stato campione juniores di acchiapparella; come si permetteva quel ragazzino obeso e viziato di dargli del lento?

“Scusa un attimino…” – disse Makekaz con un sibilo all’indirizzo di quel ragazzino – “…aspetta, vado a prendere la giostra nuova… ti piacerà, è un unicorno molto più bello di quello dove stai seduto, aspetta che lo vado a prendere!”

“Non voglio l’unicorno nuovo, io voglio questo, capito!? Questo! E ora, scemo, metti subito in moto questa baracca che mio padre non ha né i soldi né il tempo da buttare appresso a te!” –  sbraitò ancora una volta Goffredino, mentre Makekaz saliva sul tetto rosa di quella giostra.

Una volta giunto sul tetto, Makekaz prese un grosso pezzo acuminato di roccia, che il comune di Makekaz teneva lì per difendersi in caso di attacchi di sindacalisti, e lo scagliò di sotto, per punire quel ragazzino.

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Lo mancò solo di qualche centimetro… ma lo spavento fu tale che l’unicorno prese vita e, imbizzarrendosi, disarcionò con un colpo di reni il principino Goffredino, mandandolo giù per una scarpata.

Goffredino rotolò rotolò rotolò, fino a giungere in una valle, dove venne soccorso da un passante. Quando riprese conoscenza, il principino non ricordava più nulla, nemmeno il suo nome. L’unica cosa che continuava a ripetere terrorizzato era la descrizione dell’ultima scena avvenuta sulla giostra di Taaaac.

Il passante (che poi era un vigilante) che aveva soccorso il principino Goffredino si chiamava Bob. Bob Catley. Storica voce dei Magnum. (Gabriele Traversa)

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