Fazzoletti e talleria: HITTEN – Triumph & Tragedy

Certi colossi dell’heavy metal hanno avuto la fortuna di poter ambire al successo. Per nessuno di loro sarebbe stata la stessa cosa se i palazzetti non si fossero gradualmente riempiti fino quasi a collassare, o se non avessero avuto la prontezza di cambiare casa discografica al momento giusto. Oggi a questi gruppi di stampo sfacciatamente classico manca tale caratteristica. Motivo per cui la NWOTHM non potrà mai, dico mai, esser lungimirante e ambiziosa come le scuderie d’un tempo furono. Si può, al contrario, ispirarsi a coloro che il botto lo fecero eccome. E questo è un vantaggio non da poco.
Gli Hitten figurano fra quelli che l’heavy metal non l’hanno letto su un libriccino, ma compreso a fondo ed assimilato. Hanno ciò che a Firenze sul finire degli anni Novanta chiamavamo “la talleria”. La talleria è atteggiamento, posa, consapevolezza. È il mezzo che rende il gruppo heavy metal un gruppo heavy metal e non la feccia raccapricciante che mettono in atto i Grave Digger nel tentar di replicare la propria immagine d’un quarto di secolo fa. Non è goffaggine, ma capacità di tirarsela, di camminare qualche centimetro sopra al suolo e guardare gli altri dall’alto verso il basso. È l’ingrediente segreto senza il quale i Judas Priest non avrebbero insegnato l’heavy metal al mondo intero, tenendo le gambe divaricate nel giusto modo e le chitarre intrecciate come in una perfetta coreografia.
La talleria ce l’hai o non ce l’hai, è pura stravaganza e infatti l’ho vista indosso a soggetti le cui capacità erano forse discutibili. Mai agli individui comuni. Conobbi un tallo che si portava appresso un fazzoletto di pregiata stoffa da lui chiamato fasulét. Lo serbava gelosamente nel taschino della camicia o della giacca. Gli serviva per pulircisi il cazzo nelle più improvvisate situazioni che lo portavano a farsi una sega, ovunque egli fosse. Un altro di loro adoperava esclusivamente orologi digitali, perché, molto semplicemente, non sapeva leggere quelli a lancetta. Ma la volete sapere una cosa?
A quei tipi là non potreste mai insegnare come distinguere due differenti edizioni di un vinile dei classic metaller brasiliani Salario Minimo (in tal proposito vi consiglio Beijo Fatal del 1987) o di individuare il chitarrista più adatto a sostituire Jorg Fischer negli Accept storici. Loro quel genere di cose le riconoscevano al volo; gli altri, a corto di quell’ingrediente segreto denominato talleria, no. E per quanto stravaganti, eccessivi, e talvolta assurdi, quei talli mi hanno insegnato molto e debbo loro molto. Mi hanno insegnato a distinguere l’heavy metal dalle sue più bieche imitazioni, innanzitutto. Ma niente fazzoletti di stoffa, ecco.
Avendo oggi a che fare solo ed esclusivamente con imitazioni, i loro corsi accelerati mi permettono di scremare e di tener per me solo il minimo necessario.
Gli Hitten, da Murcia, Spagna, capitanati però da un cantante italiano entrato di recente in formazione e corrispondente al nome di Alex Panza (solo per questo lo amo, ma lo immaginavo una roba tarchiata alla Udo e invece somiglia vagamente a Carl Albert), sono usciti a novembre con Triumph & Tragedy, che a sua volta definirei un compendio di più scuole dell’heavy metal classico. La loro più grossa abilità è quella di sapersi trattenere: Alex non è mai sguaiato alla voce, e fin da Built to Rock, col freno a mano completamente tirato, mi ha ricordato l’abitudine dell’Halford pre-Painkiller di spingere sugli acuti e sull’energia solo quando necessario. Non assomiglia però ad Halford nello stile e nel timbro, risultando più influenzato da note ugole nordamericane, e con ciò aiutando la formazione a citare con garbo ed altrettanto gusto certe raffinatezze alla Dokken anche in contesti tipicamente più pesanti ed europei dei Dokken stessi. Triumph & Tragedy è un rimescolone di più cose, e gli arrangiamenti alla Weikath di Eyes Never Lie non daranno mai fastidio ai ricorrenti usi priestiani, né alle notturne e ottantiane atmosfere magistralmente sottolineate da passaggi di synth adoperati ancora una volta col contagocce. Mai un eccesso: è questo il segreto degli Hitten. Lo stesso batterista, Willy Medina, ultimo ingresso in formazione per gli spagnoli, è un vero e proprio fenomeno ma si contiene e limita i passaggi tecnici sui rulli ai momenti opportuni, necessari, doverosi. L’esatto contrario di quanto accade a molti fenomeni odierni privi di un cuore o di velleità artistiche, ma che hanno chiaramente studiato: tutti bravi, tutti così incapaci di lasciarci un qualcosa per cui ci ricorderemo d’uno solo di loro. Medina questo l’ha capito, Panza pure. E le chitarre sono spettacolari, essenziali nel riffing, incalzanti nel corso degli assoli.
L’altro aspetto interessante di questa band è di non farmi pesare la loro provenienza. È tipico delle formazioni di origine latina il mettere in chiaro, nota dopo nota, che provengono da un paese latino: hanno rotto il cazzo, si è capito, lo sappiamo. Non tanto perché il loro frontman non adoperi lo spagnolo, non tanto perché sia italiano e canti in inglese, e nemmeno perché si sia rinunciato ad arpeggi altisonanti che richiamino le tradizioni della terra situata all’imboccatura dello stretto, ma posso affermare con orgoglio che gli Hitten, molto semplicemente, sono un gruppo heavy metal in scia ai colossi americani e inglesi. Punto.
Per quanto mi riguarda uno dei migliori album di heavy metal tradizionale usciti quest’anno. Tinto da piacevoli venature hard rock, meno di roccia che nei precedenti titoli e con un Alex Panza sempre più al timone (un album come State of Shock non aveva nulla che mancasse, fuorché Alex e la personalità che oggi intravediamo), Triumph & Tragedy scorre alla grande fino alla suite nonché titletrack conclusiva, passando per rari filler come Ride out the Storm (costruita troppo attorno al suo ritornello da urlare a sfinimento) e per picchi di inarrivabile talleria come Meant to be Mean, acceptiana al punto giusto sin dai primi rintocchi marziali di batteria, o Light Beyond the Darkness, con tanto di accelerazione conclusiva alla Angel Witch. Bravi, per davvero. (Marco Belardi).
A me hanno invece annoiato. Il bello dei gusti.
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Volevo solo avvertirvi che siamo nel 2021
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IL FASULET!!!! Oioioi che ricordo nefasto mi hai sbloccato, pensa che il soggetto che si vantava di tale orpello lo sento ancora, sporadicamente, sui social. Per la verità, a quei tempi c’era anche chi regalava CD dei Kiss imbustati in agghiaccianti sacchetti della farmacia (metafora da manuale, per esprimere tra le righe il suo giudizio sul disco in questione!), ma questa è un’altra storia :)
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