Musica per rovinarsi il sabato sera: FORLORN ASPECT – Visions of the Causal Source

Questa roba ti rovina il sabato sera, se hai in programma di far serata, sbronzarti senza ritegno e magari raccattare qualche figa bisognosa di essere consolata perché il suo ganzo l’ha mollata per un’altra che pesa trentacinque chili con i vestiti bagnati addosso. Invece, prima di uscire, mentre ti radi e ti dai una lavata giusto per smentire il luogo comune che i metallari non si lavano mai fin dai tempi di Into Glory Ride, ti viene in mente di mettere su un disco. Ti capitano sott’occhio i Forlorn Aspect, la copertina è grigia come un cielo che promette tempesta, qualche sfumatura amaranto, qualche simbolo strano… Va’ là che è un bel dischetto black metal che spacca tutto, mette la carica e ti aumenta l’autostima. Poi entra il primo pezzo Aur e capisci che qualcosa non va. A farti salire il magone ci mette quattro minuti, tanto gli basta. Mette malumore, è cupa, oscura, quasi del tutto priva di melodia. Non particolarmente veloce, come più o meno sarà tutto l’album. Che è molto, molto più inquadrabile nel blackened death metal che in cose tipo il black melodico, etichetta che viene attaccata a quasi tutte le band delle quali non si sa cosa dire perché non si ha la voglia di ascoltare il disco per intero, o magari non si ha la preparazione per riconoscere cosa suoni di preciso un gruppo esordiente privo di background (che non basta, ma aiuta).

Qualche sconfinamento nel black metal più canonico c’è, ma per la maggior parte del tempo Visions of the Causal Source si muove in contesti death metal duri, spossanti, tutt’altro che dinamici. Come una colata di lava che scende dalle pendici di un vulcano ed inghiotte tutto inesorabilmente, senza lasciare alcuna speranza di limitare i danni. Sia in Prophesy che nella corta The Writhing Eidolon (quest’ultima con sovraincisioni di chitarra quasi accennanti ad una melodia non sepolta da contorsioni stroncasinapsi) ci si addentra in territori fortemente contaminati dal doom metal più malmostoso. Reflections invece è una strumentale da cinque minuti e mezzo impostata su batteria tribale angosciante, alla quale vengono sovrapposti riff che toglierebbero il sorriso ad uno che ha appena vinto la lotteria di capodanno. L’ecatombe finale porta il titolo di Culled, che incomincia con una intro ambient e poi, mentre l’ascoltatore sta cercando un po’ d’aria da respirare tanto è oppressiva e soffocante, verso la metà dei suoi undici minuti di durata esplode in una concatenazione di riff non particolarmente tecnici ma arrangiati in modo siderale con molto delay, sì da sembrare molto più veloci di quanto non siano effettivamente.

Ci sono digressioni nell’ambient rock e nell’occult death/black metal tipo Ysengrin o Hetroertzen, ma la peculiarità di fondo di tutto il progetto è suonare death metal moderno il più straniante possibile. La voce è quella tipica dei tempi odierni, con molti effetti di eco e riverbero per ottenere un qualcosa di simile ad un urlo disperato che sale da una grotta popolata da mostri malvagi antropofagi. Il loro intento di comporre musica snervante questi ignoti americani – perché la band è americana ma non ci sono notizie su chi ci suoni – lo hanno centrato in pieno. Così, anziché il cazzeggio puro, il sabato sera riserverà, davanti ad un’unica media rossa che nel frattempo diventerà calda e sgasata, riflessioni post-filosofiche sul fine vita, su chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, in che modo ci andremo. Un gran beneficio per la cultura e per il fegato, molto meno per tutto il resto. (Griffar)

One comment

  • Vabbè dai, sempre meglio di me che ho lavorato mezza giornata e dedicato il pomeriggio al marmocchio che mi si è attaccato ai marroni senza tregua. Caruccio eh, per carità. Ma alla settantaseiesima richiesta di ripetizione della puntata dei (fottuti) Barbapapà, dove quello peloso e nero si traveste da lupo, ho pensato a dio con poca benevolenza. Quando poi avemo preso tre fischi dall’ambrosiana, ho cominciato a ripetere pure io. L’oggetto era sempre dio e tutto l’ordine sacerdotale. Al minuto 85, mentre mio figlio mi stava seppellendo di pupazzi, ho sentito distintamente la curva sud cantare con un amore infinito, incondizionato, commovente. E ho invocato Moloch, affinché risucchi sti indegni mercenari senza coglioni in qualche spirale di dolore siderale ed eterno.

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