Avere vent’anni: ELDRITCH – Reverse

Per qualche motivo, ho sempre considerato la produzione degli Eldritch divisa in due: quella dei primi tre dischi degli anni ’90 e tutto il resto. Probabilmente la mia è una approssimazione errata, in quanto i lavori dei Nostri nel corso degli anni hanno sempre mantenuto una coerenza di fondo, sia se presi tra loro singolarmente, sia se vogliamo inquadrare la questione da un punto più ampio, diciamo di crescita e maturazione. L’attitudine, inoltre, è sempre stata la medesima e ciò li piazza tra i gruppi italiani più coerenti e fedeli a sé stessi. A maggior ragione, credo che la mia sia più una sensazione dettata più da questioni personali, dal come ho vissuto l’uscita di ogni singolo album, da chi ero e cosa facevo in quel periodo, piuttosto che legata a fattori intrinseci. Ma tant’è, amici, quando si cresce con un gruppo si cambia e ci si pone in modo diverso nei suoi confronti.
Reverse è, probabilmente, uno dei lavori migliori dei livornesi; sicuramente si piazza tra i migliori tre o quattro anche provando per un attimo a valutare la cosa con maggiore obiettività di quella di cui posso disporre io. È un album a cui sono comunque legatissimo e che vi stimolo a recuperare o riascoltare per una serie di motivi. In primis, Reverse ebbe l’ingrato compito di succedere a El Niño, il mio preferito, come è il preferito di molti, ma anche l’album che consentì alla band di ampliare ulteriormente la propria fan base. La formula qui adottata fu diversa e, in questo caso, si può tranquillamente parlare di evoluzione del suono degli Eldritch, seppur tenendo presente quel discorso di coerenza di cui sopra grazie al quale i nostri non sono mai arrivati a snaturarsi. Tornando anche un po’ indietro con la memoria a quel periodo, ma soprattutto guardando le recensioni di questi mesi per Avere vent’anni, ci si rende conto della direzione presa dal metal degli anni ’00. Il nu-metal imperava e il prog metal cadeva nel dimenticatoio dopo una, seppur breve, stagione di grandi dischi. In tale contesto si poneva un album come Reverse, che ammodernava il suo suono puntando con maggiore decisione rispetto a prima sulla quota thrash, diciamo anche thrash tecnico, che già aleggiava nell’album precedente e che sarà da qui in avanti sempre più presente, andando un po’ a sostituirsi ai classici stilemi progressive e alla quota malinconico-melodica-dissonante su cui si insisteva nel recente passato, rendendo il suono e l’atmosfera del nuovo album più dure e cupe.
Con ciò intendo dire che in Reverse non ritroviamo più i duetti alla prog-maniera tra chitarre e tastiere, ma il tutto risulta più quadrato e uniforme, sia affidandosi alla memoria, sia riascoltando i due lavori in successione oggi. Era un disco moderno e oggi suona ancora attuale. La melodia viene pur sempre conservata, perché nel DNA della band e di una voce come Terence Holler, e i singoloni si sprecano anche qui. Il tutto, oltre ai suddetti motivi esogeni, potrebbe essere apparentemente imputato a una importante variazione di line-up: Oleg Smirnoff, al secolo Giacomo Biagini, il tastierista storico della band con le cui intuizioni era stato condizionato potentemente il suono dei nostri, va via e viene sostituito da Sean Henderson, il quale, devo essere sincero, pur essendo affezionato alle abilità del predecessore (che, attenzione, è rientrato nella band, il che mi rende curiosissimo di ascoltare l’album che uscirà a breve), era perfettamente inserito nel nuovo contesto di cui con ogni probabilità sarà stato anche importante elemento costitutivo. Inoltre, era andato via un altro membro storico, Adriano Dal Canto, sostituito da un quadratissimo Emilio Simeone alla batteria, anche lui perfettamente centrato in quel contesto.
Insomma, è pur vero che qualcuno all’epoca prese un po’ male questa virata, come spesso avviene a fronte di cambiamenti netti, ma una volta approfondito e compreso il discorso che si stava portando avanti fu inevitabile apprezzarne la qualità. (Charles)
bah, devo ammettere di non averlo mai apprezzato. però la cover di my sharona è figa
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Tolte due o tre sbandate in odore di nu (tipo ‘Little Irwin’, a fine disco), è un bel disco che riascolto volentieri ancora oggi.
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Tolte un paio di sbandate in odore di nulla (tipo ‘Little Irwin’ a fine disco), è un ottimo album, che riascolto volentieri ancora oggi.
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