Delusione cocente: WOLVES IN THE THRONE ROOM – Primordial Arcana

Dice Ciccio che un suo conoscente in visita a Portland, Oregon, ha acquistato la frutta e la verdura alla bancherella della comune dei Wolves in the Throne Room. Con tanto di logo della comune in caratteri fieramente incomprensibili da gruppo BM. Allora è vera la storia dell’autoproduzione, che i Lupi questa volta hanno fatto tutto da soli, producendo il disco, i video ed evidentemente anche il cibo messo a tavola nelle pause di registrazione. Fossi in voi tratterrei gli sghignazzi, la mia ammirazione è sincera.
Ho sempre difeso e supportato la musica dei nostri, incontrati con Black Cascade ed amati con Celestial Lineage. Da allora dieci anni, tra divagazioni ambient e silenzio fino ad un album di ritorno, Thrice Woven, che male non era, ma che sembrava un po’ come se dovessero riprendere l’allenamento rispetto a quando tiravano fuori almeno una cosetta ogni due anni, sempre eccellente. Band sempre di una coerenza ed onestà intellettuale inattaccabile. Ma con Primordial Arcana ormai arrivata ad un punto morto. Sapranno risalire la china?

La musica dei nostri è sempre stata una questione di attitudine. Vezzeggiati per un po’ dall’aristocrazia indie che aveva voglia di emoglobina politicamente corretta, i Lupi sono stati fortunati, non certo opportunisti. Non posso negare che alle mie orecchie fossero arrivate prima le loro posizioni politiche (non partitiche) che non una singola nota, ma poi non è che ci abbiano mai calcato la mano. Anzi, come dimostra la storia dell’amico di Ciccio, si concentrano sul loro percorso coerente più che sui proclami, i distinguo, i monologhi video. E poi se vai a vivere in un bosco la misantropia non è una sceneggiata. Interessanti le loro idee pure in musica, ricerca di un suono analogico, strumentazione autentica, e, come ci spiegava benissimo Stefano Greco, evocazione degli aspetti più immaginifico ed oscuri della Natura. Gli riusciva benissimo, tra l’altro, fino appunto a Celestial Lineage. Perché su brani come Wanderer Above the Sea of Fog (Dr, Friedrich, I presume) e Astral Blood c’è poco da dire a parole. La magniloquenza riusciva loro naturale. Appunto, riusciva.
Con Primordial Arcana potremmo definitivamente dire che le carte migliori dei nostri si siano esaurite. Forse non del tutto, ma non a sufficienza da tirare su un album. Che stavolta è veramente piatto, noioso, vuoto. Lascia purtroppo ai detrattori di sempre spazio per le loro critiche. Praticamente in larghissima parte basato su mid-tempo in cui il riff dovrebbe essere evocativo e l’arrangiamento misterioso, riff scialbi e synth banalotti stavolta invece non distraggono dalla monotonia dei due fratelli Weaver rispettivamente alla voce ed alla batteria. Oh, mi dispiace un casino ammetterlo. Stavolta, come dicevamo, Keyworth ci aggiunge qualche elemento nuovo, un po’ di brutalità, un growl, un mezzo riff in odore di death metal. Poca roba, e comunque nella direzione opposta al valorizzare i diademi buoni di famiglia, ormai tutti opachi ed ossidati.

Non si può dire che sia un brutto disco in assoluto, non c’è nulla di offensivo o indegno, ma il solo canale Atmospheric Black Metal Albums su YouTube sforna un disco del genere al giorno proveniente da Guatemala, Tajikistan o Isole Figi. I Drudkh, ai quali, con un po’ di elasticità mentale, potremmo confrontare alcuni aspetti dei WITTR, stanno comunque tenendo botta cambiando un po’ registro, con suono più asciutto ma brani ancora solidi. Agli anarchici di Washington questo non sta esattamente riuscendo. E poi secondo me persino nel black metal conta saper scrivere una canzone. Ecco che quindi sapersi registrare da soli un disco o riproporre gli avanzi di certi stilemi cascadici non ci può bastare più.
Io comunque non mi do per vinto, nutro per i WITTR simpatia vera e ne seguirò comunque i prossimi passi, sperando si risollevino. Se poi potessi supportarli anche comprando la scarola, la verza e le cime di rapa del loro campo sarei in prima fila al banchetto del mercato alle sette di mattino. (Lorenzo Centini)
Sinceramente curioso di ascoltarlo prima di giudicare… visti dal vivo ormai molti anni fa mi impressionarono molto, decismante suggestivi, sembrava suonassero in una foresta.
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Non condivido la bocciatura del disco ma apprezzo sinceramente il parere schietto e argomentato, asciutto del recensore. Rispetto l’opinione espressa, frutto di una critica costruttiva, che desta un sorriso ironico per un motivo: a differenziarci sono solo le conclusioni sul disco in se stesso e non i pensieri mossi a corredo dello stesso. Suggerirei però di indulgere sul giudizio finale per capire se questo indugiare dei Lupi in una sorta di comfort zone del proprio sound sia frutto di una seppur lunga, scossa di assestamento prima di qualche nuovo balzo, oppure una calcolata e costruita nuova “wilderness” nella quale godore il frutto di anni seminali e rabbiosi, quelli delle cacce notturne e degli istinti totali, sulla tensione di una scena che per ovvie ragioni, dieci e passa anni fa era in definirsi, mentre oggi è realtà. Non boccio il disco perchè nonostante il passaggio a CM (ero incredulo!), nella totale familiarità del sound sento ancora uno spirito genuino e il non voler cedere, (anzi opporsi!) alla plasticosità dei suoni tanto bombasticamente in voga oggi. PS: potessi, tornerei lì a prendere la verdura come l’amico ciccio.
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