Avere vent’anni: SIX FEET UNDER – True Carnage

Tra il 2000 e il 2001 i Six Feet Under dell’ex Cannibal Corpse, Chris Barnes, si trasformarono da “la band dell’ex Cannibal Corpse, Chris Barnes” in un gruppo musicale di merda senza troppi precedenti. Diventarono una barzelletta di cattivo gusto da raccontare ai bigotti. Poco prima dell’uscita di True Carnage mi ritrovai a casa di un tizio che aveva una batteria tutta sbarellata in salotto; naturalmente la suonava meglio di me e mi propose di coverizzare insieme Victim of the Paranoid dal precedente Maximum Violence, un trauma psicologico che un giorno mi porterà a ritornare su quegli infausti giorni, a trarne ispirazione, e infine a scrivere l’autobiografia best seller intitolata IO HO COVERIZZATO I SIX FEET UNDER (Sperling & Kupfer).

Già nel 2000 nessuno considerava i Six Feet Under un gruppo dai buoni propositi. Avevano inoltre inciso una roba chiamata Graveyard Classics, in cui il nostro amico coi rasta si cimentava tutto baldanzoso nel coverizzare un repertorio che ben s’adattava ad essere trasposto o riproposto dai Six Feet Under: i Savatage, ad esempio, con Holocaust direttamente dal loro album di debutto Sirens. Fortuna che non scelse di rifare qualcosa da Gutter Ballet o da Streets.

La realtà era questa: Graveyard Classics non serviva assolutamente a nessuno, se non a cementare nell’immaginario dei metallari l’idea che i Six Feet Under stessero rapidamente diventando – orfani, peraltro, di un Allen West in direzione Breaking Bad – la peggior band possibile. Occorreva ora realizzare un disco che mettesse nero su bianco questo concetto: facile essere la peggior band al mondo con un album di cover. Chris Barnes, le voci nella tua testa ti urlano che devi farlo col tuo repertorio.

Non so se True Carnage sia o non sia il peggiore album dei Six Feet Under, ma so con certezza che da qui in poi hanno fatto cose disumane, tranne che in un periodo di tregua negli anni Dieci in cui hanno chiarito che “vorrei ma non voglio e comunque ormai non ci seguirebbe nessuno”. Hanno messo nero su bianco che sono diventati una barzelletta, mentre nel frattempo i Cannibal Corpse spaccavano tutto alla Flog di Firenze portandosi di spalla gli umili Kreator del buon Mille Petrozza e del più che discreto e stucchevole Violent Revolution, oggi idoli di grandi e piccini nonché una rottura di palle colossale. Non so cosa ne pensi Chris Barnes oggi, non dei Kreator ma della sua roba. Se egli consideri i Six Feet Under il fattore sliding doors che ti ha sputtanato tutta una vita, o se in un certo senso vada fiero della sua decisione alla stessa maniera di Ron McGovney quando dichiara che è felice così, attivando le lancette analogiche di macchine della verità, sismografi e postazioni barometriche in un colpo solo. Non lo so, ma so che i Six Feet Under furono in un certo senso uno dei tratti caratterizzanti dell’aver vissuto un’adolescenza metallara, dell’aver portato sul palmo della mano alcuni e riso forte riguardo ad altri. E se ripenso che questo qua ha cantato su Butchered at Birth, ad ogni modo, rischio la salute cardiovascolare anche vent’anni dopo quella merda. (Marco Belardi)

Un commento

  • Bah, true carnage non è sicuramente tra i migliori dei sfu ma in ogni caso lo preferisco mille volte a tutto ciò che hanno fatto i cannibal corpse dopo più o meno gallery of suicide. Poi de gustibus

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